Una compagine precaria con navigatori a vista

di Massimo Franco

Una compagine precaria  con navigatori a vista

Illustrazione di Doriano Solinas

È probabile che sulla riforma del Fondo salva Stati alla fine la maggioranza riesca a sopravvivere. Per quanto drammatizzati, i contraccolpi di una bocciatura sarebbero pesanti e dunque vanno arginati. L’istinto di sopravvivenza, tuttavia, non può diventare l’unica bussola del governo: alla fine potrebbe rivelarsi non una risorsa ma un limite. La frequenza con la quale la maggioranza si divide mostra una fatica crescente e ormai patologica. Fino a qualche settimana fa, i partiti della coalizione guidata da Giuseppe Conte sembravano bene intenzionati: a smussare i contrasti, a procedere insieme, a lasciare da parte le recriminazioni ideologiche e di potere.

Invece, proprio mentre la recrudescenza del coronavirus richiederebbe determinazione e compattezza del governo, le buone intenzioni sono state messe tra parentesi. Su Palazzo Chigi si stanno scaricando diffidenze e incomprensioni: forse anche perché spesso la guida appare virtuale e contraddittoria. L’istinto di sopravvivenza ormai non è quello collegiale del governo, ma l’altro, tribale, delle singole forze che lo compongono: con Italia viva in prima fila, e con qualche sponda in alcuni settori del M5S e del Pd, nella protesta sistematica per i metodi e la gestione di Conte. Difficile dire se le critiche abbiano solo l’obiettivo di ottenere qualche dividendo politico, o rientrino in una manovra più ambiziosa, anche se a rischio boomerang.

L’impressione è che si inseriscano in uno sfondo di nervosismo diffuso. Il Movimento Cinque Stelle ha assunto un atteggiamento di resistenza disperata quanto frammentata per mancanza di leadership e di prospettiva: in parte è schierato col governo, in parte sembra sabotarlo. E dal Pd arrivano segni ripetuti di insofferenza per quello che il partito di Nicola Zingaretti considera insieme l’atteggiamento dilatorio del premier, e una sua tendenza ad accentrare nelle proprie mani alcune leve strategiche: si tratti di fondi europei o di intelligence. Per questo gli alleati invitano a non sottovalutare il terzo istinto di autoconservazione: quello dello stesso Conte.

Cresce il sospetto che non possa o non voglia mediare tra alleati, né trovare soluzioni soddisfacenti e comunque in grado di attutire la conflittualità. Gli si imputa di non coinvolgere abbastanza attori sociali ridotti a terminali, non protagonisti di uno sforzo di ripresa corale solo a parole. Palazzo Chigi dà l’impressione di voler continuare sulla strada di un divide et impera che prolunga e aggrava i problemi, senza risolverli. Esaspera le contraddizioni e le tentazioni di chi nella maggioranza accarezza forzature, se non strappi. E radicalizza la destra.

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