Maradona: gli ultimi giorni, l’operazione, le liti. E il testamento: «Il calcio mi ha dato tutto»

di Carlos Passerini

Maradona: gli ultimi giorni, l'operazione, le liti. E il testamento: «Il calcio mi ha dato tutto»

(Afp)

Chi gli è stato vicino, chi l’ha incontrato negli ultimi mesi, chi gli ha voluto bene davvero, dice che è finito il suo inferno, il suo tormento. Perché questo era adesso la vita di Diego Maradona. E questo era diventato lui: un uomo stanco, confuso, svuotato, malato, ormai ostaggio dei suoi demoni e di una vergognosa faida fra clan, tutti a caccia dei suoi soldi, della sua pubblicità, dei suoi slogan. Una caduta nel vuoto cominciata anzi ricominciata due anni fa e accelerata dai troppi eccessi, a partire dall’abuso di alcol, ormai il suo avversario principale, il peggior nemico insieme agli psicofarmaci, dei quali era prigioniero.

Anche quando andava in panchina col Gimnasia, la squadra che lo aveva ingaggiato nel 2019 per rilanciare un’immagine opaca, spesso non era lucido: l’impietosa passerella alla quale lo avevano obbligato nel suo giorno del suo sessantesimo compleanno, il 30 ottobre scorso, aveva fatto il giro del mondo: ai limiti dell’irrispettoso, quasi ad approfittarsi della sua generosità, sconfinata almeno quanto il suo talento. Ma era troppo importante l’ostensione del mito, andava lucidato e portato in processione fino in fondo, fino alla fine, nonostante tutto, nonostante tutti.

Anche la politica ha chiesto la sua parte, con i peronisti del presidente Alberto Fernandez che ne avevano fatto un formidabile testimonial soprattutto per le classi sociali più umili, una nuova Evita, un nuovo Che. A ognuno la sua parte, indifferenti al fatto acclarato che le sue condizioni fossero preoccupanti da tempo, come tutti benissimo sapevano in Argentina.

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