Non vorremmo essere allarmistici, ma i numeri sono allarmanti

Cercare una misura fra allarmismo e ottimismo è difficile, soprattutto perché il dibattito sfugge a un equilibrio, come sempre in tempi di polarizzazione, e i nostri tempi lo sono da un po’, e tanto più in una crisi epidemica che all’inizio era sanitaria, poi sanitaria ed economica, oggi anche sociale e di ordine pubblico. Apprezzo soprattutto chi cerca di conservare una saldezza, per esempio Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, che stamattina sul Corriere valuta la situazione attuale molto distante da quella di marzo e aprile, o Giorgio Palù, microbiologo e virologo dell’Università di Padova, che ieri, sempre sul Corriere, invitava alla calma poiché il 95 per cento dei contagiati è asintomatico. Il dato è scorretto: secondo l’Istituto superiore di sanità, gli asintomatici sono il 55 per cento, ma probabilmente la sintesi giornalistica ha tradito Palù. Il messaggio voleva essere tranquillizzante: soltanto il 5 per cento ha sintomi gravi.

Ieri i nuovi contagiati individuati dai tamponi erano quasi ventimila, come il giorno precedente (ma col tasso di positività ulteriormente salito). Significa che ieri avevamo mille nuovi malati con sintomi gravi e mille il giorno precedente. Significa, ancora, che degli oltre duecentomila attualmente malati, diecimila hanno sintomi gravi. Guardare i numeri, e studiarli un po’, ci spinge a essere né allarmisti né ottimisti ma realisti. Gli studi quotidiani di YouTrend ci danno una mano. Innanzitutto ci avvertono che è sbagliato valutare le variazioni di giorno in giorno: troppo mobili, troppo precarie. Valutarle sulla settimana precedente è più indicativo. Bene: ieri, sulla settimana precedente, i casi di positività erano saliti del 92 per cento, i decessi del 118 per cento. Venerdì, sempre sulla settimana precedente, più 95 e più 100 per cento. Giovedì più 94 e più 107 per cento. Mercoledì più 97 e più 136 per cento.

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