Non cambia nulla ma è già cambiato tutto

Insomma, si è capito, anche perché il messaggio – quasi un esorcismo che diventa linea – è stato piuttosto insistente. E cioè non cambia nulla, sia se al referendum vince il Sì e dunque i cittadini, assieme al taglio, votano evidentemente il superamento di questo Parlamento “pletorico” e “costoso”; sia se vince il No, che sarebbe, altrettanto evidentemente, anche una mozione di sfiducia verso tutti quelli che hanno sostenuto la riforma, con più o meno convinzione e ipocrisia. E non cambia nulla qualunque sia l’esito finale delle regionali, tre a tre, quattro a due, cinque a uno, in cui uno (la Toscana) vale tutti, in questa tardiva a affannosa battaglia di Stalingrado, già espugnata sin da quando, a renzismo imperante, fu regalata Cascina proprio alla sconosciuta Ceccardi, mettendo in discussione il sindaco uscente del posto, in quanto legato alla Ditta. Poi, ben sei capoluoghi di provincia su dieci, nell’epoca in cui la rottamazione spalancò la strada alla destra.

Il governo, impegnato a derubricare il valore politico del voto – prima manifestazione di sovranità popolare post lockdown – andrà avanti, col collante della “valanga di soldi” in arrivo e in attesa di una valanga di idee. A prescindere. Il che, in tempi normali, o meglio in situazioni democratiche ordinarie, è anche comprensibile: le regionali sono una cosa, il governo un’altra, così come il referendum e le comunali. In situazioni che però ordinarie non sono, proprio l’atteggiamento del “non cambia nulla” rappresenta l’ultimo tassello di una “crisi di sistema” che, pericolosamente, si avvita su se stessa. Di una sequenza di anomalie che non si riesce a interrompere: un paese dove l’ultimo governo nato nelle urne risale a dieci anni fa, dove il voto è sempre un rischio da evitare con accrocchi in Parlamento, dove le istituzioni hanno una crisi di legittimazione, fino a questa stramba e fragile legislatura, segnata da un premier non eletto che fa un governo con la Lega, per poi farne un altro contro la Lega, peraltro in nome del pericolo democratico rappresentato da quelli con cui governava insieme fino al minuto prima. Un po’ come se un complice del Duce fosse diventato il capo della Resistenza, tranne poi constatare che non ne metteva in discussione le leggi speciali.

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