Aridatece Minniti

Aridatece Minniti, ovvero una politica sull’immigrazione, in grado di contenere e sfidare l’orda sovranista. E, con lui, anche una certa professionalità, perché la materia in questione non è roba da apprendisti, prefetti sia pur bravi, moralisti a ore che, scesi dalle nave su cui sono saliti, si dimenticano che i decreti sicurezza vivono e lottano insieme noi. Perché è chiaro: è lì, sul tema più divisivo dei migranti, il cuore della contesa. È lì che anche un leader come Salvini, appannato nei sondaggi, spiazzato dal nuovo contesto europeo, con l’orologio politico e biologico fermo al Papeete, come un calciatore che fa sempre lo stesso tiro, ritrova il dischetto da cui fare goal.

Le immagini, guardate le immagini, il linguaggio del corpo, il tono della voce. Una settimana fa, al Senato, dopo la svolta europea sul recovery fund Salvini si perse in un discorso sconclusionato, in cui parlò più di canne e marijuana che di fondi. Oggi, in un’Aula trasformata in una bolgia sulla Open Arms, è tornato a indossare la divisa del Capitano che ferma i “pirati”, e, con essa, i panni della vittima, del perseguitato spedito a processo per aver difeso i confini contro l’“invasione”. È evidente il tentativo di riportare indietro l’orologio della storia, ai tempi della battaglia navale condotta dal Viminale e, più in generale, ai tempi in cui trasformò la paura in impresa, piuttosto remunerativa in termini di fatturati elettorali.

Il problema è che l’orologio è andato avanti, ma il contesto, semmai, è ancora più estremo, reso drammatico dall’emergenza Covid. A Treviso è esplosa la rivolta nella caserma in cui erano accolti trecento migranti, dopo che si sono registrati 129 casi positivi. E il sindaco ha deciso di chiedere i danni al governo. Non ci vuole una Cassandra per prevedere che non sarà un caso isolato, ma il paradigma dei prossimi mesi. Semmai bisogna riconoscere che proprio Minniti lo aveva previsto. È oggettivo. Basta rileggere l’intervista al Foglio di sabato scorso, e anche quelle precedenti in verità, in cui invitava la sinistra a sfidare in nazional populisti “sapendo che la cosa peggiore da fare è inseguire gli eventi anziché governarli”. A maggior ragione di fronte all’evidente nesso tra immigrazione e pandemia che rischia di lacerare il tessuto democratico nel conflitto tra democrazia e salute.

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