Il sì al processo è un regalo per Salvini?

di Massimo Franco

Il dubbio che il «sì» di ieri del Senato al processo contro Matteo Salvinisia figlio della rottura di un anno fa tra Movimento Cinque Stelle e Lega è difficile da rimuovere. Sembra inevitabile chiedersi se, col leader del Carroccio ancora nella maggioranza come ministro dell’Interno, i grillini avrebbero votato allo stesso modo.

Per quanto discutibile, come altri gesti plateali compiuti da Salvini contro i migranti quando era al Viminale, l’idea che abbia agito in solitudine sequestrando per giorni la nave Open Arms rimane come minimo controversa. Il M5S aveva già votato contro di lui a gennaio. Ma nel 2019 aveva respinto una richiesta analoga del Parlamento: allora era al potere con la Lega. Da destra si è detto che il voto dimostra una subordinazione della politica alla magistratura.

Ma l’impressione è un’altra, forse perfino più sgradevole; e cioè che la giustizia sia stata usata per un regolamento di conti tra ex alleati nel primo governo populista guidato da Giuseppe Conte: quello, appunto tra M5S e Lega, nato a giugno del 2018 e naufragato nell’agosto del 2019 dopo uno strappo deciso da Salvini nella speranza di andare a elezioni anticipate.

I prossimi mesi diranno se la decisione presa ieri sarà «un grande regalo» al capo leghista, come lui stesso ha dichiarato sfidando il «via libera» dell’aula di Palazzo Madama. Di certo, il fatto che l’autorizzazione a processarlo coincida con una recrudescenza dell’immigrazione clandestina e con le quarantene per il coronavirus aiuta la narrativa salviniana.

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