Caso Fontana, i pm e i camici: ecco la chat tra Dini e la centrale regionale, non fu donazione
di Luigi Ferrarella
Sono un messaggio whatsapp delle 9 del mattino del 20 maggio, e un anticipo di 2 ore, a fondare la convinzione dei pm di «un preordinato inadempimento» contrattuale «per effetto di un accordo retrostante» tra la Regione Lombardia e l’imprenditore varesino Andrea Dini (fratello della moglie del presidente della giunta regionale Attilio Fontana), che il 16 aprile era stato affidatario diretto con la propria «Dama spa» di una commessa da 513.000 euro per la fornitura di 75.000 camici e 7.000 set sanitari alla centrale acquisti regionale «Aria spa» diretta da Filippo Bongiovanni.
La «fornitura» cambia il 20 maggio
La convinzione è che il suo improvviso tramutare il 20 maggio la «fornitura» in «donazione» — limitata però ai 49.000 camici e 7.000 set sanitari sino allora già forniti, e senza più ulteriore consegna alla Regione dei restanti 25.000 camici pur pattuiti all’inizio dal contratto — sia stata non una sua scelta generosa (per quanto magari affannata dopo la richiesta di Fontana il 17 maggio di soprassedere ai pagamenti per non alimentare polemiche su conflitto di interessi), ma un trucco pianificato sulla scorta di «una rassicurazione ottenuta per il tramite di un accordo stabilito altrove». Sinora, infatti, si credeva che l’ipotesi di reato di «frode in pubbliche forniture» (contestata ai tre) valorizzasse il fatto che, dopo la donazione, Dini avesse cercato di rivendere i 25.000 camici per rientrare in parte del mancato profitto al quale aveva rinunciato con la mail delle ore 11.07 del 20 maggio ad «Aria spa»: «Come anticipato per le vie brevi, la presente per comunicare che abbiamo deciso di trasformare il contratto di fornitura in donazione. Certi che apprezzerete la nostra decisione, vi informiamo che consideriamo conclusa la nostra fornitura»
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