La proposta di Rao per uscire dalla crisi: “Stato imprenditore e un moderno Iri per un nuovo umanesimo industriale”

L’Italia è presente nella geotecnologia internazionale grazie alle aziende partecipate dallo Stato – ENI, Leonardo, Enel, Fincantieri e StMicroelectronics –e al ruolo dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), che operano, con successo, nelle tecnologie di frontiera.

In un mondo dominato dai Paesi forti e dalle multinazionali, il “piccolo è bello” – in nome del quale è stato distrutto e riconvertito il nostro modello produttivo – si è rivelata una strategia fallimentare. Le PMI, anche a causa di problemi finanziari e organizzativi, spesso scontano deficit nella cultura della diffusione del marchio e nell’internazionalizzazione. La presenza di pochi grandi gruppi industriali e finanziari capaci di promuovere la cultura d’impresa, l’innovazione e trainare il tessuto delle PMI ha determinato un ruolo sempre più marginale dell’Italia nei mercati internazionali.

Siamo la seconda manifattura europea, sentiamo spesso dire, ma il nostro ruolo è spesso relegato a quello di produttori e fornitori di componentistica per imprese straniere – con i vincoli organizzativi e produttivi e i rischi di delocalizzazione che ciò comporta. Le PMI hanno necessità di aiuto per crescere e, laddove possibile, trasformarsi in piccole multinazionali.

Una strategia per mettere a sistema le eccellenze industriali e della ricerca

Tutto perso per il nostro futuro? Non necessariamente.

Rimane la posizione centrale nel Mediterraneo, luogo privilegiato per i commerci e gli equilibri politici internazionali. E nell’innovazione industriale siamo pur sempre interpreti ineguagliati dell’”archetipo di Leonardo”, ovvero la capacità di ideare tecnologie frutto non solo di un grande retaggio industriale, ma anche della creatività, della fantasia, dell’arte e della bellezza.

L’Italia quando agisce come sistema è in grado di eccellere, ma ciò è possibile solo in presenza di leader capaci di visione (sovente contro tutto e tutti). Come Beneduce, Mattei, Olivetti e Ippolito, solo per citarne alcuni.

Lo scorso marzo si è proceduto a nominare i vertici delle aziende partecipate dallo Stato, senza che il Governo definisse una politica industriale e indicasse i criteri per le nomine. Gli AD delle stesse imprese, lo hanno osservato in molti, svolgono – loro malgrado – le funzioni di indirizzo che sarebbero di pertinenza della proprietà.

Una opportunità preziosa si è trasformata in una occasione persa.

La pandemia ha reso improrogabile la necessità di un piano di crescita industriale frutto di scelte politiche e proiettato verso il futuro. Che fare?

La mia proposta è la seguente:

l’Esecutivo riunisca le maggiori imprese industriali partecipate dallo Stato (citate sopra), l’istituzione finanziaria competente per gli investimenti (Cassa Depositi e Prestiti), i maggiori attori della logistica, delle reti e delle infrastrutture (Ferrovie dello Stato, Alitalia, Poste Italiane, Autostrade, Terna, Snam), i centri di ricerca nazionali (ASI, INFN e Istituto Italiano di Tecnologia).

Il tavolo (composizione flessibile, con possibili integrazioni di soggetti privati) avrebbe il compito di definire, in tempi rapidissimi:

  • a) un programma di politica industriale, con la presenza di capitali pazienti, per lo sviluppo delle tecnologie emergenti e la creazione di filiere virtuose con le PMI (mutuando esempi virtuosi come quelli avviati da Leonardo e CDP);
  • b) un piano di sinergie tra imprese “pubbliche” e istituti per la ricerca scientifica (anche per la partecipazione ai bandi europei);
  • c) un programma integrato per la logistica, le grandi opere e le reti (essenziali anche per favorire il turismo) e quindi per i porti, gli aeroporti, la banda larga e le risorse idriche);
  • d) un progetto per governare la transizione ecologica che comporta una riduzione della manifattura e del lavoro e richiede riconversioni industriali e formazione dei lavoratori.

Questo lavoro “di merito” dovrebbe rivolgere una attenzione particolare per il Mezzogiorno, partendo dalla valorizzazione dei distretti più efficienti (ad esempio l’aerospazio in Campania) e dai settori strategici quali la siderurgia (Ilva di Taranto).

Il tavolo potrebbe lavorare ad un modello “italiano” per un nuovo umanesimo industriale, finalizzato ad un approccio responsabile ed etico alle tecnologie – tema questo, oggetto di un fervente dibattito internazionale.

Altro compito è l’elaborazione di un piano di internazionalizzazione delle attività e di definizione di collaborazioni industriali: la sovranità dello spazio aereo è un asset fondamentale per il Paese e occorre assistere Alitalia (fondamentale per attrarre turisti e per promuovere l’immagine del Paese) nel processo di lenta, ma graduale, ripresa e di ricerca delle alleanze; aziende ad alta specializzazione tecnologica come Leonardo sono sottodimensionate se paragonate ai maggiori competitori europei ed internazionali.

L’Esecutivo dovrebbe quindi creare una “cabina di regia” a livello politico in grado di monitorare e aggiornare in tempo reale, i programmi concordati

Nella fase di esecuzione e verifica delle attività è necessaria una struttura tecnica indipendente, composta da professionisti con alto livello di specializzazione e da giovani talenti. Tale entità dovrebbe essere anche competente per i controlli sulla effettiva destinazione (e sui risultati) dei fondi erogati dallo Stato e dall’Ue.

Il ritorno al modello dei Padri Costituenti e al ruolo virtuoso dello Stato

Stiamo parlando del progetto di una versione moderna dell’IRI?

L’Istituto rimane la pagina migliore dell’Italia del 900 – pur consapevoli degli errori commessi. Siano di fronte ad una esperienza irripetibile, ma che deve essere studiata al fine di coglierne gli insegnamenti – a partire dalla capacità di leadership dei processi organizzativi e imprenditoriali e di formazione del capitale umano e dei gruppi dirigenti.

La prospettiva di uno Stato che interviene nell’economia e che promuove l’innovazione, dopo gli eccessi del liberismo fai-da-te, oggi trova attenzione in tutti gli schieramenti politici, negli studiosi e nei commentatori. In fondo è un ritorno alla lezione dei Padri costituenti e un adeguamento a quanto già fanno i Paesi concorrenti.

Il Ponte di Genova, costruito in tempi rapidi grazie alla riduzione dell’impatto della burocrazia e alle sinergie tra una azienda a partecipazione statale e una privata – un po’ come era avvenuto negli anni ’50 con l’Autostrada del Sole – offre un modello da cui attingere.

Non possiamo sottacere un rischio: lo Stato imprenditore, in assenza di visione e di una classe politica competente, potrebbe rivelarsi uno slogan privo di contenuti concreti e quindi un pericoloso boomerang.

La politica ha il dovere di rilegittimare il ruolo dello Stato quale soggetto promotore dell’Interesse Nazionale, capace di infondere ottimismo e fiducia tra i cittadini e di ridare all’Italia il ruolo che gli compete nella comunità internazionale.

Tutto senza mai dimenticare che le imprese a partecipazione pubblica dovranno tornare a sostenere – come è accaduto durante il “miracolo italiano” – la cultura, i cui interpreti nei secoli hanno definito la nostra identità e il nostro prestigio nel mondo.

BUSINESS INSIDER

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