Se i 27 litigano, affondano tutti

Gian Micalessin

La chiamano battaglia, ma quella in corso tra i capi di governo dei 27 convocati a Bruxelles per dirimere dubbi e discordie sul cosiddetto piano di rilancio europeo (Recovery Fund) è solo una triste lite in famiglia.

Una lite da cui tutti gli europei rischiamo di uscire con le ossa rotte e la casa in rovina. Per capirlo basta il calendario. Sono passati 5 mesi da quando il virus ha iniziato a far strage tra Codogno a Stoccolma, eppure l’Europa non riesce ancora a trovare un accordo sul piano finanziario da 750 miliardi indispensabile per fronteggiare la bufera economica che si addensa sulla scena del massacro. Simili indugi, lo sappiamo, non sono una novità. Nel 2009 la Grecia crollò sotto gli occhi di un’Unione troppo distratta per realizzare che i prestiti concessi ad Atene non erano più medicina, ma veleno. Nel 2015 ci vollero altri lunghi mesi per capire che l’ondata migratoria alimentata da Ankara non era sostenibile. E son più di sei anni che l’Italia rimane terra di sbarco sotto gli occhi indifferenti dei partner europei. Ma stavolta si è superato ogni limite. Un indugio lungo cinque mesi di fronte ad una minaccia potenzialmente mortale è un intervallo inammissibile per qualsiasi Stato o comunità. E lo è tanto più per un entità sovranazionale convinta d’essere una grande potenza mondiale capace d’imporre il proprio modello etico, economico e culturale a 450 milioni di cittadini. Quest’incapacità di decidere e affrontare i pericoli rivela un difetto di fabbrica assai più pernicioso dell’ondata sovranista, dei dazi minacciati dall’America di Donald Trump e persino dell’espansionismo cinese.

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