Nove euro a camice e un intermediario per piazzarli: nuove accuse per il cognato di Fontana

Non solo. Il sospetto degli investigatori è che lo stop sia arrivato come una sorta di risarcimento per la mancata compravendita: sfumato per colpa delle domande scomode l’affare da 513 mila euro (poca cosa per Aria, ma cifra non trascurabile per un’azienda come Dama in un momento di difficoltà come quello dell’emergenza Covid), una parte delle spese avrebbe dovuto essere recuperata mettendo sul mercato quei 25 mila pezzi, dando per “persi” i primi 50mila trasformati in donazione. I magistrati sono in grado di provare che la partita residua sia stata messa in vendita tramite un intermediario attivo sul territorio di Varese.

A questa figura spettava il compito di trovare un’acquirente e piazzare i camici per cercare di rientrare delle spese e a lui era anche stata fatta la promessa di una provvigione: il 10 per cento dell’importo ogni mille camici venduti.

L’ipotesi di frode per i 25mila camici mai arrivati alla Regione Lombardia dalla società del cognato di Fontana

di LUCA DE VITO e SANDRO DE RICCARDIS
Questi passaggi – che secondo quanto riscontrato dalla Procura sono avvenuti dopo le domande di Report – fanno valutare ai pm Paolo Filippini, Luigi Furno e Carlo Scalas, coordinati dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, l’ipotesi che ci si trovi di fronte a un altro reato, ovvero quello di frode in pubbliche forniture. Al momento il fascicolo è aperto per “turbata libertà nel procedimento di libera scelta del contraente” e gli indagati sono due: oltre ad Andrea Dini, anche Filippo Bongiovanni ex numero uno di Aria (venerdì ha chiesto di essere assegnato ad altro incarico).

A fare da sfondo c’è il ruolo di Aria nei mesi dell’emergenza Covid. La centrale acquisti del Pirellone in quel periodo ha speso qualcosa come 300 milioni di euro per raccogliere sul mercato il maggior numero possibile di dispositivi di protezione: una ricerca spasmodica che è stata rivolta a tutti coloro che erano in grado di fornire materiale utile. In quei giorni l’assessore regionale Raffaele Cattaneo era a capo della task force che raccoglieva le offerte in arrivo dalle aziende.

La procedura prevedeva che la task force si occupasse delle certificazioni e solo in un secondo momento i privati si sarebbero potuti interfacciare con i dipendenti di Aria. Una volta finalizzato l’accordo con Dama però, sarebbe stata la stessa struttura guidata da Bongiovanni a rendersi conto che tra i fornitori c’era anche la società del cognato di Fontana: così la notizia sarebbe stata riportata subito al livello politico. Dopo sono arrivate le domande di Report e, nell’ipotesi della Procura, il tentativo di metterci una toppa con la storia della donazione.

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