Mes, Pd irritato con Conte e 5 Stelle: «Datevi una mossa, il vostro no è ideologico»

Giorno dopo giorno e rinvio dopo rinvio, i democratici sembrano non poterne più dell’indecisione del premier, che ai loro occhi appare come «paralizzato» dalla lacerazione interna al M5S. Il decreto Semplificazione, annunciato giorni fa, è slittato a metà luglio. Il Recovery planè scivolato a settembre. Le alleanze alle Regionali non decollano. «Dovremmo almeno provarci», geme Zingaretti, che rimprovera al governo (anche) un eccesso di timidezza. E in mezzo ci sono Alitalia, Autostrade, Ilva, tutti i dossier su cui Zingaretti non si stanca di raccomandare a Conte concretezza, purché si esca «dalla genericità dei progetti». Una genericità di cui il «ni» al Mes è diventato un simbolo.

Raccontano che il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, nell’ultima riunione di Base Riformista, l’abbia messa in questi termini: «Quando il quadro di tutti gli strumenti europei sarà definito, se si esclude uno strumento bisognerà spiegarne la ragione». Così la pensano i «big» del Pd in Europa, David Sassoli e Paolo Gentiloni, il «padre nobile» Romano Prodi («Incredibile opporsi al Mes») e anche Matteo Renzi, convinto che «se manca la rotta» la barca giallorossa prima o poi affonderà.

Ma Conte non vuole affondare e al Pd, nonostante la delusione, la preoccupazione e anche il fastidio per i toni con cui Conte ha risposto ad Angela Merkel, sono convinti che il premier «non cederà al ricatto di Di Battista» e, quando sarà il momento, dirà si al fondo salva-Stati. «Di Maio e Fico — spiega a bassa voce un ministro — quando parlano con noi si mostrano più morbidi sul Mes. E se Crimi fa la voce grossa, è per tenere buoni i gruppi parlamentari». Al Senato bastano sette contrari per far saltare il governo e innescare la scissione. Per questo Conte prende tempo e punta a portare a casa il Recovery fund, chiudere l’intero pacchetto di aiuti europei e solo allora affrontare l’aula di Palazzo Madama.

A quel punto, nel Pd vedono due strade. La capitolazione dei «ribelli» che guardano a Di Battista e Salvini è la via maestra. La seconda è accettare temporaneamente un «piccolo travaso» di voti da Forza Italia. Ma una cosa, tra il Nazareno e via Venti Settembre, appare certa: il Partito democratico non aprirà la crisi per i soldi del Mes. Perché, come va spiegando il ministro Roberto Gualtieri nelle riunioni quasi quotidiane con il premier, «se il governo dovesse cadere, bruceremmo per lo spread molti più miliardi di quanti potremmo risparmiarne con gli interessi allo 0,1 del Mes».

CORRIERE.IT

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