Fabiana Dadone: «Smart working? Parole irrispettose. In ufficio uno su tre»

di Lorenzo Salvia

Ministro Fabiana Dadone, secondo Pietro Ichino in molti casi lo smart working per i dipendenti pubblici è stata una vacanza pagata. Che dice?
«Il rispetto non si insegna. La pubblica amministrazione non ha mai chiuso, ha sempre garantito i servizi essenziali ed è andata anche oltre col lavoro di medici e forze dell’ordine. Ma non solo. Sono orgogliosa dell’impegno di oltre 3 milioni di dipendenti pubblici: lo dico a chi fa finta di non vedere solo perché la critica fa più notizia».

Quante sono le persone in smart? E quante hanno avuto l’esenzione dal servizio perché impossibilitati a lavorare da fuori in un Paese, ricordiamolo, con 43 milioni di smartphone?
«Abbiamo avuto punte del 90% nelle amministrazioni centrali, oltre il 70% nelle Regioni. La percentuale di esenti dal servizio è residuale. Due esempi: al ministero dell’Economia sono stati esonerati 19 dipendenti su quasi 10 mila, alla Presidenza del Consiglio zero su 2.700».

Non crede che lo smart working, nel pubblico come nel privato, abbia allargato la forbice tra chi già prima lavorava tanto, e ha lavorato di più, e chi lavorava poco, e ha lavorato meno?
«È una domanda che va posta a chi ritiene che il cartellino sia la panacea di tutto. Lo smart working aumenta la produttività, lo dimostrano diversi studi. I dati che abbiamo raccolto e l’assenza di problematiche rilevanti, nonostante l’organizzazione repentina, lo confermano».

Lo smart working è previsto fino al 31 luglio. Ci sarà una proroga a fine anno oppure no?
«Non ho mai fatto annunci sulle tempistiche e non mi piace spendere energie nella politica dei “se”. Abbiamo accompagnato le Pa sia nella riorganizzazione pratica dei lavori sia nello scaglionamento dei rientri e nella stessa maniera stiamo strutturando la modalità di lavoro agile a regime. Lavorare smart significa guardare il corpus del lavoro, il progetto e gli obiettivi, e non soltanto le singole scadenze».

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