Giuseppe Conte, giù dal red carpet

Qualche altro fatto. Il partito democratico, finito il lock down, ha ricominciato a muoversi come un partito vero di una volta, con ordine: la direzione, una segreteria convocata ogni settimana, la riunione della delegazione di governo prima del consiglio dei ministri, una certa disciplina nella comunicazione dopo la fase del fisiologico protagonismo dei ministri durante l’emergenza, non un’intervista eclettica, meno personalismi. C’è, in questo, il senso della delicatezza del momento.

È stato proprio nel corso di una di queste riunioni che Giuseppe Provenzano, di ritorno da Lampedusa ha consegnato il suo allarme al segretario: “Guarda che è un disastro la situazione degli sbarchi, così non lo reggiamo”. Ecco, qualcosa è cambiato nel governo perché qualcosa è cambiato nel paese, e quel che è cambiato nel paese è registrato nei sondaggi sul governo. E se Conte è ossessionato da Franceschini, perché vede in lui l’alfa e l’omega di ogni trama per disarcionarlo, proprio Franceschini quel che pensa glielo ha detto più volte: “Il rischio del collasso si risolve solo con la qualità di governo, perché il rischio del collasso c’è”. Sociale, prima che politico, perché nei prossimi quattro mesi i nodi verranno al pettine tutte. E ci sta pure qualche passarella mediatica, qualche casalinata, ma se prima del red carpet si fosse risolto qualche problema tipo la Cassa integrazione, l’Ilva, o l’Aspi sarebbe stato meglio.

Ecco, il collasso e il red carpet. È in questa tenaglia l’insofferenza che monta nel corpaccione del Pd, perché il red carpet è per uno solo ma il collasso è per tutti. Pensare a scenari alternativi ora, con la partita europea da giocare di qui all’estate, è fantapolitica, ma andare avanti come se niente fosse è folle: “Facciamo la legge proporzionale e andiamo a votare” ha detto Provenzano a Zingaretti. E non si è sentito dare del matto, nella risposta. Il problema c’è se i principali dossier di governo sono “impantanati” e resteranno così per i prossimi dieci giorni almeno mentre il il premier sarà alacremente impegnato a villa Pamphili. E il problema va oltre gli Stati generali. Insomma, parliamoci chiaro: non ce n’è uno, dentro il Pd, dal più alto in grado all’ultimo dei parlamentari a pensare che questo governo sia adeguato a gestire la ricostruzione del paese. Però non c’è alternativa se non far funzionare ciò che non sta funzionando, prima che sia troppo tardi.

L’HUFFPOST

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