Stati Generali, perché Conte rischia grosso

di BRUNO VESPA

Non sappiamo perché Giuseppe Conte abbia scelto il nome di Stati Generali per la grande convention che si apre oggi nel delizioso Casino del Bel Respiro a villa Doria Pamphilj. Non è benaugurante, visto che il titolare del brand, Luigi XVI, aprì con essi un percorso che lo portò ad essere ghigliottinato. Il presidente del Consiglio vuole farne al contrario la consacrazione del rilancio per se stesso e per il Paese smarcandosi dai lacci impostigli da una alleanza di governo sempre più faticosa. Ma questo processo ha regole precise. Un leader è tale se ha idee chiare e la capacità carismatica di imporle agli altri assumendosene la responsabilità. 

L’assemblearismo è il suo esatto opposto: ascoltare tutti per rendere ambigua la paternità di scelte (e di responsabilità) che – vista la pluralità dei padri – hanno una fisionomia incerta. In realtà Conte, in due anni di governo ha imparato quali sono le cose che servono a far ripartire il Paese. 

Un promemoria glielo ha servito il comitato presieduto da Vittorio Colao. A cominciare dalla sospensione del famigerato codice degli appalti da sostituire con la più semplice e diretta normativa europea di cui si servono le nostre stesse imprese che – bloccate in Italia – realizzano in trenta mesi all’estero opere miliardarie. Aggiungendovi una salvaguardia dall’abuso d’ufficio e dalla responsabilità erariale – salvo che per dolo e colpa grave – per i funzionari che a tutt’oggi si rifiutano di firmare ogni atto temendo di rimetterci la pelle. 

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