Chi soffia sul fuoco

di Marco Damilano

Siamo alla vigilia di una bomba sociale che sta per esplodere. Ce lo dicono tanti segnali: episodi di microcriminalità non segnalati sulla stampa, una rete pronta a muoversi per intercettare il malcontento e la rabbia, molto distante dalla protesta civile per quello che non va, ma qualcosa di molto distruttivo.I movimenti dei gilet arancioni, affidati a un personaggio folcloristico come un grottesco ma evidentemente ricco di risorse ex generale dei carabinieri, sono soltanto diversivi che servono a distrarre l’opinione pubblica. Mentre qualcosa si muove a livello sotterraneo. E la nostra intelligence da anni è addestrata a fronteggiare e prevenire il terrorismo islamico, ma è molto più impreparata sul fronte interno, collegato con una rete neo-nazista internazionale…

La persona che parla è un uomo delle istituzioni, abituato per professione a decifrare da decenni i segnali in codice che arrivano dalla criminalità mafiosa, allergico alle facili preoccupazioni e ai proclami lanciati in pubblico per fare un titolo giornalistico, e infatti anche in questo caso preferisce non apparire. Ma le sue analisi sono più che preoccupanti, anche perché arrivano alla vigilia della settimana più calda del dopo-emergenza. Il 3 giugno l’Italia ha riaperto ufficialmente pure le frontiere fittizie tra le regioni, ma non è stato un momento allegro. Il giorno prima, festa della Repubblica, il cuore di Roma è stato invaso, di mattina e di pomeriggio, dal centro-destra ufficiale e parlamentare e dalla nuova estrema destra arancione, in attesa della manifestazione degli ultras di sabato 5 giugno. Mentre le città americane sono in fiamme per la rivolta dei neri seguita al brutale assassinio di George Floyd di una settimana fa per mano della polizia.

Sono eventi in apparenza associati soltanto dal calendario. Ma danno il segno di quanto sta accadendo in questo difficilissimo post-covid. In Italia, dopo le settimane del lockdown caratterizzate dall’affidamento docile, forse fin troppo, alle autorità di governo e di pubblica sicurezza, il tessuto sociale e civile torna a rivelarsi per quello che era prima del 21 febbraio. Un sistema politico che cammina su una lastra sottilissima, sempre in procinto di spezzarsi. Partiti che «non esistono più», compreso l’unico partito tradizionale sopravvissuto, il Pd, come ha detto il suo stesso padre nobile Romano Prodi. La fiducia nelle istituzioni che torna a calare, la magistratura percorsa da una guerra intestina con motivazioni in linea con questi tempi mediocri, caratterizzati dall’unica prospettiva del successo facile e immediato, come dimostra il caso di Luca Palamara .

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