La concorrenza prima vittima delle scartoffie

di MASSIMO DONELLI

Prendete la lente, lo scandaglio, il microscopio. Oppure usate un algoritmo. Non troverete la parola concorrenza nei proclami, progetti, programmi con cui politici di maggioranza e opposizione vorrebbero rimettere in piedi il Paese dopo il coronavirus. Come mai? Lascio la risposta a un uomo molto stimato: “In un regime economico di concorrenza chi ha più filo fa più tela. E non patirà la crisi, perché troverà sempre colui che è disposto a comprare la roba sua ad un prezzo che compensi il costo. In un regime che tutti indirizza dall’alto, occorre continuamente ottenere permessi, licenze, autorizzazioni…”.

“Nessuno può fare un passo, può lavorare, comprare o vendere senza il beneplacito, il permesso, la scartoffia riempita da qualcuno che scrive carte e mette firme in qualche ufficio governativo, corporativo, sindacale”. Sono parole di Luigi Einaudi (1874-1961), primo capo dello Stato eletto il 12 maggio del 1948. Se sembrano scritte ieri mattina – e ahimè, lo sembrano – allora vuol dire che abbiamo un problema. E, infatti, l’abbiamo. Bello grosso. Perché in Italia la concorrenza non esiste. E, peggio ancora, non esiste la cultura d’impresa. O meglio, quella c’è. Ma per praticarla bisogna essere, più che imprenditori, eroi. Per esempio, secondo uno studio della Confederazione nazionale dell’artigianato, aprire una bottega da barbiere richiede 65 adempimenti. Che passano attraverso 26 diversi enti. E impongono di stare in coda (fisicamente o via internet) 39 volte. Senza contare la spesa: quasi 18mila euro prima ancora di avere trovato e attrezzato la bottega.

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