I (troppi) dossier non chiusi

di   Dario Di Vico

Per sintetizzare la lunga sortita del presidente del Consiglio Giuseppe Conte potremmo dire che ha gettato il cuore oltre lo Stretto. Ma non è una novità, con le passerelle dei premier e dei ministri italiani che hanno nel tempo avuto l’idea di tirar fuori dal cilindro il coniglio del Ponte potremmo realizzare addirittura una serie televisiva, di quelle a più stagioni. Il guaio per Conte è però che i tempi dell’economia reale non sono quelli della sua amministrazione e più in generale delle forze politiche che sorreggono il governo in Parlamento. So che è un facile argomento polemico ricorrere al confronto con la pratica politica della Germania ma quello che colpisce della maxi-manovra varata dal governo di grande coalizione guidato da Angela Merkel non è solo la portata del bazooka (100 miliardi) ma la tempestività della «messa a terra» degli interventi con l’obiettivo ambiziosissimo di creare le condizioni di una ripartenza che somigli a una V. Nel caso dell’esecutivo italiano si ha, invece, persino l’impressione di un monitoraggio superficiale dell’evoluzione della crisi dell’economia reale.

Il lockdown e più in generale l’incubo pandemico hanno generato solo due vincitori: l’e-commerce che in Italia sta volando ormai da mesi con un incremento quasi sempre superiore al 150% e il settore farmaceutico che, secondo le stime di Prometeia e IntesaSanpaolo dovrebbe chiudere il 2020 addirittura sopra il 4%. Per il resto quasi tutti i settori della specializzazione italiana, a partire dalla meccanica, sono in gravi difficoltà e persino l’alimentare, che pure ha visto ribadito il suo rilievo strategico, arranca per la parziale chiusura del canale della ristorazione e affini. È vero che i consumi elettrici, come segnala l’ultimo bollettino di Ref Ricerche, sono risaliti tutto sommato velocemente a dimostrazione che le fabbriche hanno ripreso con buon ordine a funzionare ma è la domanda che langue e la foto emblematica di questa fase è quella che ritrae sui piazzali dei concessionari di migliaia di vetture invendute e che difficilmente troveranno presto qualcuno che le guidi. Si tratta di incidere sulla fiducia dei consumatori e spingerli a mettere da parte le incertezze e riprendere al più presto l’abitudine all’acquisto.

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