Il dialogo parte e già si ferma

Insomma, l’unico punto fermo è il “metodo”, molto quirinalizio, anzi quasi pedissequamente quirinalizio: l’invito alla concordia, allo spirito “costituente”, al dialogo, al confronto con tutti: parti sociali, istituzioni, menti brillanti, uomini di buona volontà. E opposizioni, anche se, nel corso della conferenza stampa, c’è voluta una domanda specifica per far nominare a Conte la parola “opposizioni”. Sia come sia, come si dice in gergo, ha “aperto”, rinunciando anche, con aplomb istituzionale, a una facile polemica sull’assembramento sovranista del 2 giugno.

È evidente che il premier si è lasciato avvolgere dalla “rete di protezione” del Quirinale, dove è palpabile la preoccupazione che il paese non possa stare assieme, lacerato nei conflitti tra istituzioni, categorie, corpi sociali, proprio nel momento in cui, finita la fase dell’emergenza sanitaria, si intravedono i prodromi di una drammatica emergenza economica. Un metodo, agevolato anche dall’iniziativa politica del segretario del Pd, che ha trovato (leggi qui) un primo riscontro nella disponibiltà al confronto da parte di Silvio Berlusconi.

Detta in modo tranchant, è chiaro quale sia il timore che ha indotto Conte a un mutamento di stile rispetto al format degli interventi nel corso del lockdown, ovvero quella rabbia nel paese che si è riversata nelle piazze del 2 giugno, ben oltre le aspettative degli stessi organizzatori. E, con essa, la consapevolezza che i tempi della crisi sociale, qui ed ora, non coincidono con l’arrivo dei denari del Recovery fund, per cui ci vogliono tempo e riforme. Sotto il vestito del nuovo approccio però c’è solo un elenco di titoli. Too little, too late, dopo tre mesi di riflessioni, esperti, comitati, professori e Colao, nel giorno in cui l’Italia riapre: un “nuovo inizio”, senza un punto di vista forte, una visione, un’idea di paese su cui, appunto, sviluppare il confronto.

Nella retorica del dialogo per il dialogo, che assomiglia più alla proposta di una task force allargata che al famoso spirito costituente, c’è il trionfo dell’eclettismo col premier che si mostra disponibile a ogni soluzione: “vedremo”, “dialogheremo” “faremo”, non una proposta sull’economia, ma gli “Stati generali sull’economia”, non un grande piano di rilancio della formazione ma una “conferenza sulla scuola”, non il modello Genova per le infrastrutture o il rifiuto del modello Genova, ma addirittura la caduta del tabù sul Ponte sullo stretto, che tanto piaceva a Berlusconi nel ’94 e a Renzi ancora oggi. Parole consumate, praticamente la qualunque, con un paio di punti fermi, che fanno capire dove pendano gli equilibri nella coalizione di governo: il riconoscimento delle ragioni della “revoca” di Autostrade e l’indeterminatezza sul Mes che tanto imbarazza i Cinque Stelle.  

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