Quella mattina che uccisero Walter Tobagi

di MICHELE BRAMBILLA

Walter Tobagi

Walter Tobagi

La mattina che ammazzarono il povero Tobagi andai, come tutte le mattine, a portare i miei pezzi da collaboratore alla cronaca del Corriere d’Informazione, che era l’edizione pomeridiana del Corriere della Sera. Ci arrivai con la mia Citroen Due Cavalli verde acqua alle sei del mattino, perché il Corinf (così veniva chiamato) andava concepito all’alba e partorito a mezzogiorno per la prima edizione – che si chiamava “Ultima” – e alle sedici per la seconda, che si chiamava “Ultimissima”. Si entrava dunque al giornale quando gli operai del primo turno della Breda, che vedevo passando per viale Sarca, entravano in fonderia.

Vista l’ora dannata, in via Solferino si parcheggiava comodamente a spina di pesce sul lato destro, lo stesso dell’ingresso del Corriere. La cronaca del Corsera era a piano terra, quella del Corinf al primo: e qui, in quello stanzone già pieno di fumo (nessuno si sognava di chiamarlo open space) aveva lavorato, fino a qualche anno prima, anche Tobagi, un giovanissimo Tobagi che sarebbe poi passato all’interno di via Solferino dalla motovedetta alla corazzata, facendo una gran carriera fino a diventare inviato. Di quando – qualche ora dopo – arrivò la notizia dell’omicidio, ho nella memoria un fotogramma solo ma nitidissimo: le lacrime disperate del capocronista Mario Palumbo, un palermitano che di Tobagi aveva visto muovere, e pure un po’ guidato, i primi passi.

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