Il ballo del voto a settembre nel Paese feudale

Alla fine ognuno potrà fare un po’ come vuole: votare il 6, settembre o il 13, o il 20, o il 27. Decide ogni singola regione. Anche se, il paradosso, è che alla Camera in giornata approderà il decreto del governo che contiene l’indicazione di un election day per il 20 settembre. Andiamo con ordine. Primo pomeriggio: in un’afosa commissione della Camera, distanze di sicurezza e mascherine, va in scena una battaglia campale con le opposizioni che, addirittura, ricorrono all’ostruzionismo, strumento normalmente usato di fronte ai provvedimenti giudicati inaccettabili, che dividono il paese. L’oggetto è la data delle elezioni, o meglio l’election day che, nelle intenzioni del governo, dovrebbe accorpare il voto in sei regioni (elettori coinvolti: 18 milioni), in oltre mille comuni (elettori coinvolti: 6 milioni) il referendum costituzionale (elettori coinvolti: tutti).

Anche questa decisione, in piena emergenza, diventa un elemento di sfarinamento del fragile quadro nazionale. Che in serata diventa plastico, quando trapela, da fonti del governo che le regioni, se vogliono, posso decidere autonomamente perché la materia elettorale è di loro competenza. E che quella del governo è una indicazione, non un obbligo. È questo l’esito della rivolta dei governatori che hanno preso carta e penna per scrivere al capo dello Stato, rivendicando le proprie prerogative in materia. Conclusione: il testo del governo approderà in Aula, dopo che in commissione è passato con i voti della sola maggioranza. Ma nessuno si sentirà vincolato.

Ricapitolando: il governo propone una data unica per tutte le consultazioni, il 20 e 21 settembre, recependo le indicazioni del comitato tecnico scientifico, che suggerisce di non andare oltre la metà di settembre, per ragioni sanitarie, ipotizzando una seconda ondata virale per ottobre; le regioni, tutte, chiedono invece che si possa votare subito, già a luglio con Bonaccini e Toti; le opposizioni invece, in primis la Lega vogliono invece votare più avanti, per evitare una campagna elettorale sotto gli ombrelloni, magari votando il 20 per il referendum e il 27 per le regionali.

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