Berrino: «La morte può essere bellissima. Ma prima bisogna imparare a vivere (a lungo)»

di Alessandro Sala

Berrino: «La morte può essere bellissima. Ma prima bisogna  imparare a vivere (a lungo)»

Franco Berrino con la moglie Jo (foto di Enrica Bortolazzi)

Quella di Jo era una presenza discreta ma costante. Lei c’era praticamente sempre, tra il pubblico, ad ascoltare il marito, che dal palco parlava davanti a platee gremite di teatri e auditorium. E lui, Franco Berrino, epidemiologo, per anni direttore della clinica di medicina predittiva dell’Istituto dei tumori di Milano e autore di testi di grande successo sulla longevità e la vita sana, sa che lei c’è ancora, anche se lo scorso febbraio «è nata in cielo». Lo sa perché è il messaggio che lei stessa gli ha lasciato in quel loro ultimo giorno, quando gli ha chiesto di cantarle dei mantra tibetani («non lo aveva mai fatto prima, ho capito dopo che era il suo modo per salutarmi») facendosi tenere stretta tra le braccia. E se n’è andata così, serenamente. Perché della morte non aveva paura. «Ma per non avere paura della morte — spiega Berrino Mezz’ora con il Corriere — bisogna saper vivere bene la vita. La morte non fa paura a chi ha avuto una vita cosciente, a chi è stato consapevole, a chi si è accorto di vivere». Lui stesso, del resto, la sua morte l’ha già immaginata e l’ha raccontata nel suo nuovo libro — Il cibo della saggezza – Cosa ci nutre veramente, scritto a quattro mani con il maestro taoista Marco Montagnani, e dedicato proprio alla sua compagna di vita («che nell’anima custodiva l’ombra delle valli e la luce delle vette, come le nostre montagne») — che esce oggi per Mondadori: «Ho sognato di essere vestito con una tunica bianca, che nella vita reale non indosso mai, in un dojo, al termine di una seduta di meditazione di gruppo. Alla fine tutti se ne vanno, tranne una bellissima ragazza: lei torna verso di me, mi tocca una spalla e io semplicemente scompaio. L’abito si svuota del mio corpo e scivola a terra». Non saprebbe dire chi fosse quella ragazza. «No, non l’ho riconosciuta». Piace, tuttavia, pensare che possa essere proprio la sua Jo (con lui qui sopra nella foto di Enrica Bortolazzi), che lui teneramente continua a chiamare «la mia sposa».

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