Fase 2, Bonomi: «I soldi a pioggia finiscono presto. Alle imprese servono investimenti»

Riparte l’economia: ecco chi torna al lavoro il 4 maggio

di Francesca Basso

In precedenza il governo è intervenuto con il decreto liquidità per le aziende. Prendiamo i 25 mila euro al 2% d’interesse. Le domande sono poche. Come lo spiega?
«Troppa burocrazia. E poi quando un’impresa chiede fondi è perché ha un progetto da realizzare. Le politiche del governo aumentano l’incertezza. Tirando le somme, la liquidità alle imprese non sta arrivando».

Le prime tre misure che il governo dovrebbe adottare?
«Chiediamo che si sblocchino tutte le opere pubbliche già finanziate. Inoltre, sia gli incentivi di industria 4.0 e sia i pagamenti dei debiti che lo Stato deve alle imprese devono trasferirsi in liquidità immediata, cioè con una detrazione sulle imposte che si pagano quest’anno».

Lei ha largamente criticato la gestione della Fase2…
«Oggi si riparte e non abbiamo ancora capito quali siano state le proposte del comitato di esperti creato dal governo. Al cui interno, per inciso, non c’è nemmeno un imprenditore. Stiamo ripartendo senza un metodo, con uno scontro fortissimo governo-Regioni. La confusione è sotto gli occhi di tutti».

E nel merito, cosa non va?
«Serve un sistema di tracciamento dei contatti che non è ancora in campo. Penso alla app Immuni che dovrebbe essere collegata ai dati del sistema sanitario nazionale».

Le imprese sono pronte?
«Le imprese sono pronte e lo hanno dimostrato, basta guardare ai settori che non hanno mai spesso di produrre. C’è un punto invece che non è stato ben compreso: le imprese oggi stanno riaprendo con costi maggiori e con una produttività più bassa perché bisognerà attuare il distanziamento».

Per questo giovedì scorso ha auspicato una deroga ai contratti collettivi sugli orari di lavoro? Non teme che così il rapporto con i sindacati parta in salita?
«Credo che i problemi vadano messi sul tavolo e su questo vada impostato un discorso serio con i sindacati che il governo dovrebbe agevolare».

Agevolare favorendo il dialogo o con incentivi?
«Bisogna avere ben presente che quella che sta iniziando è la stagione dei doveri e dei sacrifici, per tutti. Quando sento chiedere aumenti contrattuali, per esempio nell’alimentare, significa che a molti la situazione non è chiara».

L’alimentare non sta subendo la crisi come altri settori.
«Pensi ai costi della logistica e delle materie prime: stanno aumentando per tutti».

Gli sforzi dei dipendenti non vanno premiati?
«Vanno premiati, certo. Per questo abbiamo chiesto al governo di detassare e decontribuire gli aumenti che le imprese possono garantire ai lavoratori alle prese con l’orario ridotto e la Cig. La risposta però è stata ancora una volta negativa».

Tra due settimane sapremo dall’impatto sul numero dei contagi se la ripartenza è sostenibile. Questo appuntamento la preoccupa?
«Quello che mi preoccupa e mi indigna è che si giochi ancora a dare la responsabilità alle imprese di un eventuale aumento dei contagi. Il Codice civile mette in capo all’impresa la salute e sicurezza dei lavoratori. Con il Covid-19 questo genera una situazione potenzialmente deflagrante. Penso al rischio di cause di lavoro e alla possibilità che venga richiesto alle aziende di dimostrare che un dipendente ammalato non si è contagiato in azienda: semplicemente una follia».

Nelle proposte del Pd per la ripartenza si parla di interventi dello Stato con capitale di rischio nelle imprese, anche con quote di minoranza. Che ne pensa?
«Lo Stato faccia il regolatore, stimoli gli investimenti. Per esempio questo sarebbe il momento per rilanciare con più risorse il piano Industria 4.0 visto che a questa crisi sopravviverà chi investirà. Ma si fermi lì. Non abbiamo bisogno di uno Stato imprenditore, ne conosciamo fin troppo bene i difetti».

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