Ristoranti a un passo dal fallimento: «Va bene la distanza, ma ci vuole il contatto umano altrimenti è come un supermercato»

di Antonio Crispino

Al biondo Tevere, sulla via Ostiense a Roma, il proprietario del ristorante lo troviamo con il metro in mano. Misura la distanza tra i tavoli, due metri, al centimetro. Si chiama Roberto Panzironi, apre il cancello chiuso con la catena e ci mostra i lavori in corso: via piante e fioriere per far posto ai tavoli. O meglio, per lasciare il vuoto tra i tavoli. In questo modo i coperti si ridurranno del 60% passando da cento a quaranta «ma almeno riapriamo, si spera» dice il figlio. Il ristorante è a conduzione familiare, quindi anche con meno posti a sedere gli conviene. Ad andare via sarà anche l’aria condizionata. Ha appena letto un articolo dove riportano il grafico di uno studio cinese in cui si capisce che le condotte di areazione favoriscono il diffondersi il virus. «Non la accenderemo, fortunatamente siamo vicini al fiume e aprendo le finestre c’è fresco”. Mostra i tavoli che avanzano affastellati in un angolo. Anzi, dice: «Per piacere non me li riprendere con la telecamera». Vuole che il suo locale appaia splendente come prima del covid-19. I pochi tavoli che è riuscito a sistemare in sala li apparecchia, con tanto di bicchieri e posate. Ma per chi?, chiediamo. «Per nessuno, come buon augurio per un nuovo avvio» risponde. Ce n’è uno, però, che è rimasto al suo posto e non ha intenzione di toccarlo.

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