L’arte di dire e rincuorare

di   Antonio Scurati

Arrivano momenti nella storia dei popoli nei quali le parole non solo sono importanti ma addirittura vitali. Questo è uno di quei momenti. Eppure, purtroppo, proprio ora quelle parole mancano, le bocche che dovrebbero pronunciarle tacciono. Mi riferisco all’oratoria politica, alla capacità del leader di guidare un popolo attraverso la sola forza della parola.

Il linguaggio umano verbale è prodigo di numerose funzioni: con le parole si può nominare, spiegare, descrivere, inventare, informare, raccontare, conoscere e via dicendo. Con le sole parole si può addirittura agire ma la prestazione più alta cui la parola umana possa elevarsi è niente meno che la sopravvivenza stessa. La lotta interminabile con cui la specie umana — costantemente sottoposta a minaccia mortale — tenta faticosamente di mantenersi in vita trova nella parola un alleato fondamentale.

Ciò accade soprattutto nei frangenti del dramma collettivo. È allora che il discorso pubblico può e deve persuadere a tenere linee di condotta prudenti (l’autoreclusione, nel nostro caso) o muovere a un agire straordinario (la militanza «eroica» del personale sanitario). Ma quel tipo speciale di parola può avere un raggio ancora più vasto: l’eloquenza pubblica può dare una versione accettabile di una realtà terribile. Non si tratta di mistificare, nascondere, ingannare. Al contrario, si tratta di narrazioni veritative che illuminino il dramma con una luce che lo renda sopportabile, che renda il vivere possibile e, in taluni casi estremi, anche il morire accettabile. Proteggere gli uomini dalla violenza brutale della realtà conferendole un senso. Rincuorare. Di questo è capace l’arte oratoria degli uomini eminenti nei frangenti drammatici.

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