Ma che fine hanno fatto i robot?

di RICCARDO LUNA

Sarà che in pandemia certi giorni e certe notti non finiscono mai. Ma ogni tanto mi sono ritrovato a chiedermi: ma questi famosi robot, adesso che servivano, dove sono finiti? Perché non sono negli ospedali dove medici e infermieri rischiano la vita, quando loro, i robot, non hanno una vita e quindi non avrebbero nulla da perdere? Perché non ci consegnano la spesa a casa al posto di giovani fattorini sottopagati che ci lasciano il pacco fuori dal portone per paura di rimanere contagiati? Perché non fanno compagnia agli anziani, tappati in casa da settimane, quasi sempre da soli per il timore che un familiare possa infettarli quando i robot non contagerebbero nessuno visto che il virus non si trasmette via silicio? E infine perché non fanno didattica ai nostri bambini?

Quanti ne abbiamo visti di robottini parlanti che ti promettevano di insegnarti la qualunque. Sì, certo, qualcuno c’è, lo so: qualcuno. Li ho visti. Eccezioni spesso ad uso del marketing. Ma complessivamente i robot all’appuntamento con la pandemia non erano pronti. Sarà per la prossima volta. Poi arriva una notizia che ribalta ogni ragionamento. Questa: a Taiwan, dove il coronavirus è stato contenuto molto meglio che altrove, il campionato di baseball sta riprendendo (sabato) ma con gli stadi ancora vuoti per il distanziamento sociale fra le persone (sono ammesse duecento persone in tutto, giocatori compresi). E allora la squadra dei Rakuten Monkeys ha deciso che giocherà davanti ad un pubblico plaudente fatto di robot. Cinquecento robot.

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