Le misure del governo, è giusto aiutare anche chi lavora nella zona grigia

di RAFFAELE MARMO

Il reddito universale di Beppe Grillo è il viatico per la miseria universale. Così come il reddito di cittadinanza di matrice grillina è stato il veicolo diseguale di un’assistenza senza doveri. Lontano anni luce dalla benché minima ipotesi di politica attiva che conduca davvero al lavoro.
Ma, fatte queste premesse, è indubitabile che nell’emergenza non si può pensare di dare un sostegno solo ai “garantiti” del mercato del lavoro e, a scalare, alle partite Iva riconosciute. C’è, infatti, una platea di lavoratori che, principalmente per necessità quando non per imposizione esterna, opera e vive ai confini della regolarità contributiva e fiscale, fino a scendere nel vero e proprio nero.

Non ci riferiamo solo al classico e un po’ pittoresco posteggiatore napoletano o romano, ma, soprattutto, a quella massa di giovani e meno giovani, occupati in forme di part-time involontario, in lavoretti o con formule contrattuali occasionali o a chiamata. Senza escludere il girone, ancora più basso, degli impieghi e delle attività nel sommerso vero e proprio. Dal contrattista a termine senza rinnovo al rider e alla colf, dalla badante all’ambulante, dal prof senza lavoro che fa lezioni private al carpentiere o al bracciante senza nessuna busta paga, a quattro euro l’ora. Fino ai cosiddetti working poor, i lavoratori poveri, sottopagati e spesso con fuoribusta irregolari. Il problema, insomma, è che l’emergenza Coronavirus, in assenza di misure di emergenza, rischia di accentuare e moltiplicare le disuguaglianze e le anomalie del sistema di welfare attuale. Da un lato, infatti, abbiamo la sacrosanta tutela degli ammortizzatori sociali per i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, con l’aggiunta dell’indennità (da aumentare e rivedere) per gli autonomi. Dall’altro, i percettori del reddito di cittadinanza, che comunque sia, possono continuare a contare sul sussidio e, anzi, si ritrovano a non dover neanche far finta di cercarlo, un lavoro. E fin qui siamo ai «salvati».

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