Gianrico Carofiglio: “La paura è la maestra che ci insegna a cambiare le cose”

di GIANRICO CAROFIGLIO

Parlare di cosa si può apprendere da quello che stiamo vivendo implica l’altissimo rischio di avventurarsi — e magari perdersi — nel territorio di una retorica mediocre sui buoni sentimenti e sui buoni propositi.

Non sono sicuro di sapermi sottrarre a questo rischio: esserne consapevoli non è quasi mai sufficiente a eluderne la vischiosa seduzione. Con questa premessa, credo che quanto sta accadendo potrebbe insegnarci alcune cose decisive. Fra queste: una diversa comprensione della paura, dell’errore e dei loro risvolti etici.

Cominciamo con la paura. Essa è in primo luogo quella personale; la percezione della possibilità di ammalarci, di soffrire, addirittura di morire. Non è la forma più interessante e sicuramente non è la più istruttiva per una riflessione sui significati. Ma quella che stiamo sperimentando in questi giorni è anche, se non soprattutto, una paura di comunità: la vita cui eravamo abituati e che davamo per scontata, potrebbe non essere più la stessa, anche dopo la fase acuta dell’emergenza. È una paura, in un certo senso, da fine del mondo, per come l’abbiamo conosciuto finora. Una paura che ci mette in contatto non solo con la nostra fragilità individuale, ma anche con quella collettiva, con una malinconia profonda, con la tristezza, con il senso della perdita. Il lutto.

Tutte cose che possiamo rifiutare, rimuovere (come facciamo spesso) anche se poi — prima o dopo — riappaiono a presentare il conto. Oppure possiamo accettarle, integrarle come parte attiva di noi. Trasformarle in energia vitale.

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