Coronavirus, l’epidemia dilagata nelle case di riposo: 25 vittime soltanto a Mediglia, personale malato

Nel pomeriggio di sabato scorso, il sindaco di Mediglia Paolo Bianchi legge un comunicato della casa di riposo «Borromea». Il Covid-19 è entrato in quella costruzione di mattoni rossi prima che l’epidemia deflagrasse a Codogno. «La struttura è isolata dal 23 febbraio – spiega Bianchi, scorrendo il comunicato della direzione sanitaria -, quando quattro casi “positivi” sono stati accertati in pronto soccorso». Da allora sono stati fatti tamponi. Molti tamponi. Esito, ancora «positivo». Hanno iniziato ad ammalarsi medici, infermieri, operatori, e anziani. Si sono scambiati il virus. Hanno provato ad arginarlo. Il contagio è dilagato. Il punto di rottura è arrivato quando s’è posto il problema di come gestire le salme. I parenti non potevano entrare. Assediavano la struttura e il Comune per avere informazioni. «Ci sono stati diversi decessi» ha comunicato il sindaco. Il Corriere puoi rivelare quanti: 25 anziani morti in 23 giorni.

«Ha la febbre»

Mediglia dista poco più di 15 chilometri da Milano; la casa di riposo è un cimitero. L’isolamento, la malattia che avanza, le morti che si susseguono. Sembra Cassandra crossing , il film del 1976, il treno degli infettati da un virus sconosciuto che viene blindato e destinato all’estinzione. Quelle delle case di riposo per anziani sono le storie finora meno raccontate della Lombardia in epoca di Covid-19. È successo a Mediglia, può succedere a Milano, forse sta già iniziando ad accadere. Domenica, il figlio di una donna ricoverata alla «Casa famiglia» di Affori è riuscito a parlare al telefono con un infermiere. Anche quella Rsa, Residenza sanitaria per anziani, è isolata. L’infermiere al telefono aveva il fiatone. Ha detto: «Sua madre ha febbre alta e tosse. Può succedere di tutto, da un momento all’altro».

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