Coronavirus, in Italia sarebbero contagiate più di 100.000 persone

Tabella presa dallo studio
Tabella presa dallo studio
Stime analoghe

Anche la Fondazione Gimbe ha fatto un calcolo analogo che arriva a risultati simili: «Ci sono almeno 100mila casi di contagi al coronavirus , di cui 70mila non identificati, mentre i tassi di letalità in Lombardia ed Emilia Romagna, prossimi al 10%, documentano un sovraccarico degli ospedali», ha detto il presidente Gimbe, Nino Cartabellotta, intervistato dal Sole 24Ore. «Assumendo una distribuzione di gravità della malattia sovrapponibile a quella delle coorte cinese – spiega Cartabellotta – si può ipotizzare che la parte sommersa dell’iceberg contenga oltre 70.000 casi lievi/asintomatici non identificati».

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Un nuovo studio pubblicato su Science a partire da casi di coronavirus cinesi e modelli matematici ci diceva questa settimana che l’86% di tutti positivi non sono stati documentati e che le infezioni non documentate (che avevano sintomi lievi, limitati o assenti), sebbene meno contagiose, sono state la fonte di trasmissione per il successivo 79% dei casi certi.

Il tasso di letalità minore

Secondo le stime così fatte, il tasso di letalità diminuisce rispetto a quanto calcolato nelle statistiche ufficiali, c’è però da dire che la sottostima dei positivi è, in modo più o meno variabile, comune anche ad altri Paesi che hanno affrontato l’emergenza, ad esempio la Cina, dove ad un certo punto venivano considerati positivi i sintomatici gravi nemmeno testati con tampone, ma in base alle radiografie. Mentre il tasso di letalità ora è calcolato a circa 7,9%, con oltre 100.000 positivi andrebbe a 2,4% , allineandosi a quello di Wuhan ma aggravato dalla situazione di emergenza delle terapie intensive in alcune zone.

Le misure efficaci

La letalità scende ma la diffusione è sottostimata per cui bisogna #stareacasa perché il rischio di propagazione è ancora più forte: non conosciamo i casi che il sistema non rileva e potrebbero quindi essere moltissimi. In attesa di un tracciamento più puntuale, come richiesto da più parti (ma difficile in ambito emergenziale), quel che ci protegge e permette soprattutto di non portare al collasso le terapie intensive, è il distanziamento sociale. E dipende da noi.

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