Tempesta perfetta

È chiaro quale è il meccanismo che ha innescato questo tipo di reazione, che ancora non si era verificata dall’inizio dell’emergenza: l’idea cioè di una “serrata a metà”, in cui qualcuno più fortunato può rimanere a casa, altri sono esposti al fronte, senza avere certezze in termini di prevenzione e sicurezza. Idea trasmessa nell’ennesimo cortocircuito tra le parole del premier, nel suo discorso alla nazione, che hanno annunciato un lock down totale e le norme messe nero su bianco nel decreto, in cui si è capito ciò che è chiuso e ciò che è aperto: chiusi ristoranti, bar, negozi, i comparti dell’abbigliamento e dei pellami, aperto il resto, e non è poco. Misure varate senza una contestuale messa a punto delle procedure per rendere il lavoro sicuro, ove possibile, e senza una contestuale normativa sulle tutele di chi non può più lavorare o non lavorerà più. Proprio questa “modulazione” sarà oggetto dell’incontro a palazzo Chigi con le forze sociali domani, dopo una giornata di tensione, vissuta dal mondo del lavoro con la sensazione che è stata scaricata su di sé il costo della crisi, in termini di sicurezza e col retropensiero che questa scelta di libera circolazione dei lavoratori sia determinata dal fatto che non ci sono risorse necessarie a evitare che la chiusura totale non coincida col default del paese

Sarebbe stato meglio farlo prima, dicono i sindacati, a loro volta spiazzati da una protesta del tutto spontanea, parzialmente rassicurati dall’annuncio di “linee guida” da parte del ministro Boccia. È tutto così, ed è comprensibile solo in parte: una costante rincorsa degli eventi, nella speranza che l’inseguimento non risulti a un certo punto impossibile. E una costante ricorsa a precisare ciò che è stato disinvoltamente annunciato, ma non ben precisato il giorno prima. Alla propaganda sul pugno di ferro, dicevamo, segue un provvedimento che lascia aperto mezzo mondo, al punto – ed è stato un caso di giornata che ha reso necessario l’intervento del Viminale – che non si è ancora capito se fare una passeggiata sportiva al parco sia possibile o meno. L’elenco delle “eccezioni” è cioè impressionante rispetto al messaggio veicolato.

Può anche darsi che questo comportamento oggettivamente ondivago e con continui stop and go sia il frutto di profonde fratture dentro il governo tra una linea più flessibile e realista di Gualtieri e una più dura di Speranza, e allora la mediazione di Conte sarebbe quella di fare a parole come suggerisce Speranza (e farlo scrivere ai giornali) ma nelle tecnicalità e nella pratica fare come dice Gualtieri. Oppure può anche darsi che la frattura sia anche dentro il comitato scientifico – sembra che Ricciardi voglia limitare la durezza solo alla Lombardia – ma tutto ciò non è oggetto del discorso pubblico. Quel che ne deriva, come effetto, è un messaggio e una prassi decisionale poco adatta ai tempi di crisi. Basterebbe chiudere i parchi o dire che non serve, e invece al governo non si assumono il dovere di decidere, di ordinare ma consigliano, invitano, indirizzano e lavorano sulla persuasione, sul senso di colpa e sul controllo del singolo. Il parco resta aperto, ma tu non ci devi andare solo perché te lo dico io in diretta Facebook e vediamo se ti convinco. Poi magari qualche sindaco lo farà autonomamente e la decisione non sarà impugnata.

È un esperimento sociale nuovo, fatto di una comunicazione molto manipolatoria, che si nutre di persuasione demagogica e di senso di colpa, non della certezza delle regole e del primato della decisione, a rischio di impopolarità, secondo una logica da Grande Fratello, nel senso di Casalino più che di Orwell, secondo cui la rappresentazione di un copione diventa sostitutiva della realtà. A tavolino, come la costruzione di una leadership in questo gioco di specchi, che si alimenta di spifferi prima ancora che di provvedimenti, ma non di trasparenza. La realtà è già lacrime e sangue. Magari ce la faremo, con un costo altissimo, reso tale anche dall’assenza di un crudo discorso di verità al paese, foriera già di tensioni sociali e di comportamenti poco virtuosi. 

L’HUFFPOST

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