Coronavirus: Bar vuoti, turisti in fuga la corazzata, Milano paga il conto più caro

di ALESSIA GALLIONE e ETTORE LIVINI

MILANO – La Milano da bere del terzo millennio – quella scintillante, ricca e ottimista nata sulla scia dell’Expo – inizia a pagare in un lunedì di sole primaverile il conto (salatissimo) all’emergenza coronavirus. “Guardi qui: come descriverebbe la scena lei? Per me è surreale”, dice Paolo Pisola. Come ogni mattina il responsabile di Sant Ambroeus, il “salotto del dolce” a due passi dal Duomo, ha apparecchiato i tavoli e riempito le vetrinette di cannoncini, brioches e bignè. A quest’ora (mezzogiorno) di solito c’è la fila per aspettare un posto. Bancone e dehors, invece, sono deserti.

Il colpevole? Quel coprifuoco da Covid-19 che ieri, in poche ore, ha paralizzato la città mandando in tilt la macchina perfetta dell’economia di Milano, una corazzata da 166 miliardi di Pil all’anno, il 9,6% di quello italiano: i consumi di energia sono calati dell’8,5% rispetto ai lunedì delle ultime settimane. Sui treni pendolari di Trenord hanno viaggiato 350 mila persone, il 60% in meno del solito. Il salone delle anagrafe di via Larga – una bolgia dove di solito si attende il proprio turno per ore – serviva ieri i cittadini con efficienza e rapidità elvetiche grazie a un calo del 30% dell’afflusso. E ai centralini degli hotel sono piovute disdette pari un terzo delle prenotazioni. Un bollettino di guerra che rischia di diventare una Caporetto per la Lombardia (e per l’Italia), se la quarantena imposta alla città si allungherà oltre il 2 marzo.

Nel tritacarne sono finiti un po’ tutti. “Io perderò 350 mila euro”, calcola Lionello Cerri, produttore cinematografico e ad delle sale dell’Anteo. Lui e i suoi colleghi sono stati costretti ad abbassare la saracinesca e spegnere i proiettori “con una perdita per il grande schermo milanese di 100 mila spettatori”. Le strade – con traffico ferragostano – e i tram semivuoti sono la fotografia di una settimana che si preannuncia nera. La movida meneghina, con l’obbligo di chiudere alle 18 birrerie e tapas bar, rischia il crac. “Domenica nel nostro pub di via Casati avevo fatto a stento 80 euro di coperti – dice Luca Scanni socio di Pavé, che gestisce un ristorante, una gelateria, una pasticceria (un “must” del panettone artigianale) -. Ora devo chiuderlo. E come farò con il ristorante che è a due passi dal Policlinico, location a questo punto non felicissima…?”.

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