L’Europa (incompiuta) può fare di più nella crisi

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di   Federico Fubini

Nell’estate del 2017, durante la crisi dei rifugiati, il governo austriaco annunciò che avrebbe mandato l’esercito al confine sul Brennero. Da Vienna si cercò Paolo Gentiloni per comunicarglielo, ma l’allora presidente del Consiglio si negò al telefono: sapeva già tutto. Allora i ministri austriaci si rivolsero al presidente dell’Alto Adige, Arno Kompatscher, perché fosse lui a portare l’ambasciata a Roma. Kompatscher chiamò subito Gentiloni, che ascoltò in silenzio e rispose con poche parole: «Di’ agli austriaci che l’esercito ce l’abbiamo anche noi».

Succedeva tre anni fa, non cento anni fa. Allora quella decisione fu ritirata in poche ore e declassata a «equivoco». Ma l’Europa era chiaramente nel pieno di una delle sue periodiche manifestazioni di debolezza istituzionale di fronte alle ondate di alta marea che arrivano dal resto del mondo. Da allora qualche passo avanti sui rifugiati è stato fatto (non molti), ma in questi giorni la storia torna a trasformarsi in un enorme specchio nel quale l’Unione europea si guarda e capisce quanto sia pericolosa la sua incompiutezza.

L’emergenza del coronavirus è appena iniziata nei nostri Paesi e di nuovo assistiamo ai riflessi di sempre: reazioni nazionali scoordinate, trasparenza solo a macchia di leopardo e un bel po’ d’improvvisazione. Domenica notte l’Austria ha bloccato per ore un treno al Brennero. La Romania vorrebbe provare a mettere in quarantena tutti coloro che arrivano da Lombardia e Veneto (e la Basilicata si allinea, aggiungendo Piemonte, Liguria e Emilia-Romagna). Un autobus di linea proveniente da Milano è stato fermato a Lione perché l’autista tossiva. Persino da un aereo in arrivo dall’Italia alle Mauritius sono potuti scendere coloro che non abitano in Veneto e Lombardia.

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