Quel ponte che scavalca la burocrazia

Alessandro Sallusti

Ieri l’altro a Genova è stata completata la costruzione del diciottesimo e ultimo pilastro del ponte che andrà a sostituire il Morandi, il cui crollo, nell’agosto del 2018, provocò 43 vittime.

L’inaugurazione della nuova struttura, un capolavoro di ingegneristica e di architettura firmato da Renzo Piano, è prevista per giugno, giusto a un anno dall’apertura del cantiere. È la prova che in Italia quando si vuole è possibile fare grandi opere velocemente e bene, che sul Paese non grava una maledizione divina che ci condanna all’immobilismo e allo sperpero.

Sapete perché a Genova è stato possibile? Semplice: perché la politica, la magistratura penale e civile, ecologisti, ambientalisti, burocrati, faccendieri, mafiologi, nani e ballerine sono stati tenuti alla larga dalle decisioni e dai lavori. Fuori tutto lo Stato, nella cabina di regia solo i vertici di due grandi imprese italiane, la Salini (privata) e Fincantieri (pubblica), un commissario responsabile di tutto (il sindaco di Genova Marco Bucci) e un supervisore (il governatore della Liguria Giovanni Toti). Fine dell’elenco e delle discussioni su cosa e come agire.

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