Brexit, è scontro con l’Ue sulla pesca: le ricche acque inglesi fanno gola ai pescherecci europei. E la trattativa con Boris Johnson è in salita

Marco Cimminella

A pochi giorni dall’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, le pratiche per il completamento del divorzio scaldano gli animi. I negoziati veri e propri dovrebbero cominciare a marzo e la strada per giungere a un’intesa che faccia contenti Londra e Bruxelles per il momento sembra ancora lunga. Si litiga soprattutto sull’adesione inglese alle norme comunitarie, una condizione imposta dalla Commissione Ue per realizzare un accordo di libero scambio “senza tariffe e senza quote”: una sollecitazione che il premier Boris Johnson respinge. A cominciare dalla pesca, uno dei punti di maggior frizione che proietta un’ombra minacciosa su tutta la trattativa: perché se da un lato l’esecutivo conservatore intende garantire ai pescherecci inglesi il prioritario accesso alle acque nazionali; dall’altro, l’Ue reclama il “reciproco accesso ai mercati e ai mari” tra la Gran Bretagna e gli stati comunitari. Uno scontro che mostra la diversa visione che le due parti hanno sul futuro delle loro relazioni. E gli interessi in gioco.

La pressante richiesta europea è giustificata dall’importanza vitale che le aree di pesca britanniche rivestono per l’economia comunitaria. La zona dell’Atlantico nord orientale è quella più ricca, visto che i tre quarti del pescato realizzato dall’Unione europea proviene da lì. E spesso i pescherecci inglesi si sono lamentati della concorrenza dei colleghi rivali, soprattutto francesi, liberi di operare nelle acque dell’isola: critiche che in alcune occasioni hanno innescato scontri politici e battaglie navali.

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