Per Bonaccini

Stefano
Stefano Bonaccini

Magari non è il referendum “tra Monarchia e Repubblica” evocato da Matteo Salvini, ma la posta in gioco del voto, al netto di ogni retorica sul suo carattere locale o nazionale e di ogni previsione su ciò che accadrà al Governo, è alta. Ai cittadini emiliani l’onere e l’onore di scegliere se si sta con Salvini o no. Questo è il senso politico del voto. È una questione di fondo, che va ben oltre il tema della sopravvivenza (e dell’inconsistenza) del Governo, nato come un argine al salvinismo e trasformatosi in un problema da rimuovere in campagna elettorale, in quanto l’argine è diventato un moltiplicatore di consenso (per Salvini).

Diciamoci le cose come stanno: la prima difficoltà di Bonaccini è stata questa, mettersi al riparo dal “suo” Governo, che avrebbe dovuto essere e non è stato l’incubatore della nuova alleanza politica e della contaminazione dei due popoli e un vettore di consenso, anche grazie alla manovra. Nasce da qui la scelta di puntare sul “buon governo”, sui risultati non banali della sua amministrazione in assenza di un grande racconto politico nazionale. Questo è successo: la trasformazione della campagna elettorale in conflitto tra “buon governo” locale e una montante onda nazionale, fino al paradosso della Gregoretti, con la difesa che si autoaccusa fiutando l’odore del sangue e chi ha ragione che si nasconde per paura del senso comune. In fondo, quel che può succedere al Governo, è semplice: in caso di vittoria della sinistra avrebbe il tempo per consumare le sue verifiche, avvolto nella doppia transizione di un partito che ha già annunciato di voler cambiare tutto e un altro travolto da una crisi strutturale e identitaria.

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