Milano, Riccardo Muti trionfa alla Scala con la Chicago Symphony

di ANGELO FOLETTO

Trionfo alla Scala, ultima tappa italiana (questa sera sono al Lac di Lugano) per Riccardo Muti e la Chicago Symphony. Trionfo nonostante un pubblico così provinciale da fare la standing ovation e subito dopo voltare le spalle al palcoscenico per guadagnare il guardaroba, non richiamando Muti almeno una volta ancora. Trionfo scritto ma fortemente voluto. Dall’impaginazione, anzitutto.

Il maestro ha preferito portare a Milano (come a Firenze) il programma più idiomatico: ideale per mettere in vetrina le qualità speciali della Chicago Symphony e stagliare la sua antica passione per alcuni capolavori del Novecento come la Symphonie Mathis der Maler di Hindemith e la Terza Sinfonia di Prokof’ev. Partiture che sembrano scritte su misura (in realtà parte della musica di Prokof’ev, nata per l’opera l’Angelo di fuoco di cui la sinfonia risuona esplicitamente, ebbe la prima lettura a Chicago) di una compagine-corazzata orchestrale che ha fatto della lucentezza e dallo smalto collettivo una firma difficilmente imitabile.

Il maestro avrebbe facilmente potuto innescare il pilota automatico, limitandosi a sorvegliare l’evoluzione esecutiva perfetta dei suggestivi arcaismi di Hindemith e delle tinte musicali torride (nella cantabilità, nella brutalità armonico-strumentale e nei barbarismi ritmici) della magnifica e teatralissima sinfonia di Prokof’ev. Ma Muti ha voluto insinuare in queste musiche linguisticamente un po’ anacronistiche (rispetto agli anni di composizione, all’ambiente da cui derivarono e alla evoluzione caratteriale dei rispettivi autori), una convinzione personale.

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