Chi era (davvero) Soleimani

L’operazione militare condotta dalle forze statunitensi nella notte tra il 2 e il 3 gennaio, che ha portato all’eliminazione del generale Qassem Soleimani, determina un profondo mutamento degli equilibri regionali e l’avvio di una nuova fase di crisi dagli incerti orizzonti.

Ufficialmente ordinata come reazione all’attacco dell’ambasciata americana a Baghdad nei giorni scorsi, l’uccisione del generale iraniano è espressione di un processo decisionale che a Washington sembra aver voluto solcare quella linea rossa che da tempo rappresentava il perno di equilibrio tra Stati Uniti e Iran. Una decisione probabilmente motivata anche da forti esigenze di politica interna, i cui effetti rischiano tuttavia di propagarsi velocemente quanto disastrosamente nell’intero Medio Oriente.

Con la morte di Soleimani viene paradossalmente meno l’unica e ultima garanzia negoziale degli Stati Uniti con l’Iran, l’interlocuzione diretta di Washington con l’apparato della sicurezza di Teheran e, più in generale, con l’uomo che più di ogni altro aveva esperienza e visione sul piano regionale e globale.

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