La parcella di Conte

Alessandro Sallusti

La discesa in campo della Procura di Milano, che ieri ha aperto un’inchiesta sulla minacciata chiusura dell’Ilva, mette una pietra tombale sulle residue, piccole, probabilità che gli indiani si convincano a continuare la loro avventura nella acciaieria di Taranto.

Far risolvere i problemi politici e sindacali alla magistratura è il cancro dell’Italia e l’era Conte non fa eccezione. Preso atto dell’incapacità sua e del suo governo il premier ha «chiamato» le toghe, più per salvare se stesso che gli operai pugliesi. Non penso che gli indiani tremino dalla paura all’idea di essere indagati dai pm italiani. Semmai accelereranno la loro fuga dall’Italia portandosi via anche i cinque miliardi di euro che stavano per investire nel nostro Paese.

Il giustizialismo con il famigerato scudo negato e l’ultimatum dato all’azienda dai giudici pugliesi sui tempi di bonifica ha innescato il problema dell’Ilva, il ricorso di ieri alla giustizia come panacea di tutti mali segna la sua conclusione, per noi drammatica. Perché non è con gli avvisi di garanzia che si crea lavoro, e neppure lo si difende. Non saranno le manette a evitare che l’Italia, con la perdita della produzione di acciaio, retroceda nella classifica dei Paesi industrializzati. Servivano buon senso, autorevolezza, capacità di trattativa, si è invece scelto lo scontro armato con una delle più grandi industrie del secondo Paese più popolato al mondo, che è un po’ come per un bambino voler fare a pugni con Tyson e sperare di vincere.

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