Cultura della crescita:la voce che manca

di Dario Di Vico

In materia economica il governo in carica pensava di doversi dedicare quasi esclusivamente alla manovra di fine anno e alla scelta-chiave di sterilizzare l’aumento dell’Iva. Giuseppe Conte e il suo principale alleato Nicola Zingaretti non avevano messo in conto che sarebbe scoppiata, nei primi mesi della nuova esperienza governativa, la questione industriale. Per chi non ne fosse convinto mi limito ad elencare i principali dossier: rischio chiusura dell’Ilva, nuova corsa contro il tempo per evitare il fallimento dell’Alitalia, raggiungimento di un’intesa Fca-Peugeot (che non penalizzi gli stabilimenti italiani), riconversione tecnologica dell’automotive verso l’elettrico, messa in vendita del gioiello Comau con possibile passaggio ai cinesi. Di fronte alla complessità di questi dossier — e ai dati della produzione industriale in calo — il governo appare nudo, non c’è al suo interno una personalità che abbia visione su questi temi e sia riconosciuto dalla comunità del business come un interlocutore di vaglia. Colpisce in particolare che il Pd, un partito fortemente insediato tra le élite (e in questo caso è un complimento) e con valide competenze «d’area», non esprima sui nodi che interessano il partito del Pil un pensiero chiaro. Quello che vale per l’impresa vale anche per il lavoro, materia che sembra consegnata dalla sinistra in outsourcing ai Cinque Stelle. Tanti convegni sulla disuguaglianza e nessuna proposta concreta per riparare il mercato del lavoro e il reddito di cittadinanza.

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