Ex Ilva, muro contro muro governo-Mittal Chiesti 5mila esuberi. Conte: inaccettabile

Paolo Baroni

ROMA. Tre ore di faccia a faccia tra il governo ed i Mittal non fermano lo scontro sull’Ilva di Taranto. Da un lato la multinazionale franco-olandese, dopo la cancellazione dello scudo penale per i reati ambientali, non si fida più delle promesse del governo e della politica italiana, e dall’altro l’esecutivo respinge la decisione di stracciare il contratto perché mancano i presupposti giuridici. «Per sgombrare il campo da ogni dubbio – ha spiegato il premier Conte alla fine del consiglio dei ministri di ieri sera – ci siamo detti disponibili a ripristinare l’immunità», punto su cui però la maggioranza sarebbe tutt’altro che compatta. A suo parere, del resto, il tema sul tavolo non è questo: il problema che oggi pone Arcelor è che con la produzione scesa a 4 milioni di tonnellate Arcelor non riesce a remunerare gli investimenti previsti e per questo chiede 5 mila esuberi. Una richiesta per noi inaccettabile». Il governo, con Conte e poi col ministro Patuanelli, ha ribadito la strategicità dell’Ex Ilva e per questo ha dato ai Mittal due giorni di tempo per rivedere i propri intenti. «Se ci sono criticità non giustificano affatto la riconsegna dell’intero impianto. E’ scattato l’allarme rosso, ci siamo resi disponibili a una finestra negoziale 24 ore su 24» ha detto poi Conte che oggi ha detto di voler incontrare i sindacati. «Qui dobbiamo alzare la posta in gioco. Questo Paese non si lascia prendere in giro. Questo è un Paese di diritto, è un Paese serio. Nessuno li ha costretti a partecipare a una gara» e «nessuna responsabilità è imputabile al governo». Non solo, ma come ha poi dichiarato Patuanelli, «Arcelor deve rispettare i patti ed effettuare gli investimenti».

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