Staccare la spina? “Se si va avanti così, tema inevitabile”. Intervista al dem Andrea Orlando

Apriamo il dibattito. Dice Emanuele Macaluso, grande vecchio della sinistra, che non ci si può vergognare ad essere se stessi: la coalizione civica, un candidato che votava centrodestra, un alleato che si vergognava a fare campagna con voi. Mentre la destra sventolava orgogliosamente le sue bandiere.

C’è anche questo elemento, ma credo che sia la conseguenza di alcuni problemi più grandi.

Il problema è “ben altro”, come si diceva una volta?

No, dico che è conseguenza di altro. Se il Pd vuole rendersi utile a questa fase e renderla utile a se stesso dovrebbe approfittare per cambiare e cambiare rapidamente .

Cioè?

Veniamo da troppe rimozioni, che si sono accumulate nel corso degli anni. Prendiamo l’Umbria: tra le cosiddette regioni rosse è quella che ha dato per prima segni di cedimento strutturale; il modello del Welfare appenninico è entrato in crisi da tempo e la crisi economica ha colpito in modo durissimo in una regione fatta da tanti piccoli comuni che si sono sentiti tagliati fuori dalle dinamiche globali.

La sta prendendo da lontano.

L’analisi va fatta in modo completo. Aggiungo: anche la vicenda giudiziaria nasceva da un quadro che indicava tutti i limiti della crisi di quel modello e che prescindeva dalla colpevolezza dei protagonisti, che mi auguro non ci sia.

Tutto ciò premesso?

Si poteva iniziare una discussione su questi limiti, senza scaricare su nessuno tutta la colpa, e aiutando così ad aprire una fase veramente nuova, invece, siamo finiti in un dibattito sul garantismo, che è appunto sul profilo strettamente penale. L’imminenza delle elezioni ha fatto il resto. Mi auguro però che quella discussione riprenda come ha auspicato Verini.

Mi pare che sta dicendo che la situazione era già marcia ai tempi di Renzi e voi non avete avuto il tempo di porre in essere un radicale rinnovamento. Non ho capito che sta facendo autocritica o sta dicendo che pagate l’eredità di Renzi.

Renzi qui come altrove ha trovato una situazione politicamente già compromessa, che ha preferito far finta di non vedere pensando che la sua leadership potesse coprire tutto. Ma la responsabilità non può essere data solo a lui. Abbiamo tutti sottovalutato i segnali che arrivano da molto tempo.

Però, Orlando, veniamo all’oggi. Il punto vero è che la coalizione Pd-Cinque stelle non ha funzionato. È vero che c’è una specificità locale ma è anche vero che, quando funzionano le manovre nazionali, i voti locali si invertono.

Non c’è dubbio. Il tema è la natura irrisolta della coalizione. Glielo dico con grande chiarezza: non si può stare in una esperienza di governo con un piede solo e tanto più dopo il fallimento di questa formula con Salvini. Né si può ipotizzare un governo cui si dà la funzione di arginare la destra fondandolo su una somma di desistenze.

Deve dirlo a Di Maio. Ha sentito le parole del leader M5s? Testuali: “Il Pd ci fa male come la Lega”.

Non credo che il tema della difficoltà dei Cinque Stelle a stare al governo si risolva destabilizzando il governo di cui si fa parte. Credo che gli elettori pentastellati più scettici si convincano al limite con dei risultati e non con degli slogan che non producono fatti.

Gli risponda.

Per stare insieme non serve un giuramento d’amore.

Serve un “perché”, da scoprire o riscoprire stasera, come diceva la famosa canzone. Perdoni la battuta, però rende.

Diciamo così: serve un’anima. È emerso durante l’elaborazione della manovra: se pensi di stare dentro una coalizione ma che il tuo destino sia altrove giocoforza, cercherai di portare a casa un bottino a scapito degli alleati. E questo si è visto bene in queste settimane. Gualtieri ha fatto un mezzo miracolo e, senza sbattere pugni sul tavolo, ha ottenuto flessibilità per evitare aumento Iva, abbiamo diminuito la pressione sul lavoro, gli asili nido gratis, e alla fine la gente nei bar anche in Umbria parlava del pos, delle manette, di quale era il partito delle tasse e della sugar tax. Così non funziona.

Non è solo un problema di comunicazione. Quindi, che fare?

Tutt’altro è un problema di assetto. A questo punto il tema è questo: si può stare insieme continuando ad essere avversari per qualche mese, ma non lo di può fare se si ha un orizzonte più ampio. Arriva un messaggio implicito alle persone: se non ci credete voi, perché ci dovremmo credere noi. Se ci si da come orizzonte l’elezione del presidente della Repubblica ma non ci si arriva forti nel Paese anche quel passaggio può riservare sorprese.

Cosa non va nel ragionamento di Di Maio? Lui dice: l’esperimento a livello locale è fallito ma il governo può andare avanti fino alla fine della legislatura?

Pensare che si risolva dicendo “non siamo compatibili a livello locale”, una regione o un comune, ma possiamo governare un paese fino al 2023 mi sembra abbastanza stravagante. Logica dice che se si prende atto che le ragioni della propria parte sono incompatibili con uno spirito di coalizione il passaggio è molto chiaro: evitare ulteriori e certi logoramenti.

Mi pare di capire che lei, a questo punto, non esclude il ritorno al voto.

È la conseguenza, se si prende atto che questa esperienza non è in grado di andare avanti. Di Maio incomincia già a dire che ci vogliono migliorie sulla manovra e non lo dice in una telefonata al ministro dell’Economia ma in diretta tv, Italia viva preannuncia battaglie per modifiche sul fronte fiscale anche in questo caso a mezzo stampa. È chiaro che si persevera in queste pratiche non si darà mai slancio all’esperienza di governo.

Andiamo al dunque: se si va avanti così staccate la spina voi?

Se si va avanti così, sarà inevitabile che per il Pd si ponga questo tema. Non è una minaccia ma siamo davanti a un bivio che non possiamo ignorare. Questa esperienza, nata per necessità e in modo rocambolesco, non può avere come missione quella di ritardare che arrivi al governo la destra di Salvini, guadagnando mesi di vita. Tirando a campare il populismo non si argina, ma si amplifica.

Una settimana fa avete accelerato su una alleanza politica con i Cinque stelle, ora lei evoca il voto, sia pur come eventualità, ma senza i Cinque stelle. Orlando, vi state avvitando, si cambia linea ogni sette giorni. Torniamo sempre al vizio d’origine, la mancanza di elaborazione e di chiarezza su questa alleanza.

Io penso che sia giusto proporre di trasformare la coalizione in una alleanza, si può e si deve discutere di come arrivarci, di quali tappe intermedie, di come fare emergere progressivamente il progetto, e di come fare incontrare elettorati di partiti che si sono combattuti non è un gioco da ragazzi.

Ancora adesso?

Sì, ma quello che non si può fare è dire un giorno sì e un giorno no, creando un disorientamento che credo abbia pesato anche sul voto in Umbria. Ma se si è indisponibili a questo ragionamento lo si deve dire con chiarezza, con le conseguenze che abbiamo detto.

Ho capito, sta dicendo a Di Maio “decidetevi” perché ogni pazienza ha un limite e questa situazione, come è evidente, si paga. Ma insomma, a questo punto che fate a livello locale in Calabria e in Emilia ?

Io non ho mai sostenuto che ci fosse un automatismo tra stare al governo a livello nazionale e fare coalizioni a livello locale, però se si dice che pregiudizialmente che non ci sono neanche le condizioni del confronto la conseguenza non può che avere un riverbero sul terreno nazionale. Due forze politiche possono non trovare un’intesa perché ci sono ostacoli politici o programmatici nelle singole realtà ma se si dichiara l’incompatibilità allora diventa impossibile raccontare una credibile collaborazione a livello nazionale.

Di Maio la chiama “terza via”.

Io ho avuto sempre diffidenza per “terze vie”, tanto per quelle di Ingrao tanto per quelle quelle di Blair. E con tutto il rispetto stiamo parlando di Ingrao e di Blair. Al di là delle battute ci troviamo anche qui di fronte a una rimozione. La discussione che si è aperta nel Movimento Cinque Stelle dimostra esattamente che il bivio è destra-sinistra, a meno che qualcuno non voglia sostenere che Salvini non è di destra.

Se si va al voto, il vostro candidato potrebbe essere comunque Conte, se ci sta, o la sua leadership è un’illusione ottica come dice Di Maio?

Questo è un altro dei misteri di queste settimane. Noi abbiamo accettato la proposta di Conte su indicazione del Movimento Cinque Stelle, non ci saremmo mai aspettati di dover mediare tra Conte e il Movimento. Anche questo conflitto ha provocato un danno politico grave. In ogni caso, nell’eventualità che non mi auguro, che dovesse andare al voto il centrosinistra, il Pd in testa, deve lanciare un appello a tutte le forze che intendono battersi per una Italia che resti europea e con loro decidere nomi e percorso.

Ma tutto questo non meriterebbe di essere discusso in un congresso del Pd?

Le confesso che io lo ritenevo necessario, ma adesso lo ritengo urgente. Abbiamo bisogno di un riposizionamento strategico del partito sia che sulla richiesta di un consolidamento della coalizione ci sia una risposta positiva sia che non venga questo tipo di risposta.

Va fatto comunque, dice lei.

Nel primo caso per costruire l’alternativa alla destra partendo dall’esperienza di governo, nel secondo per farlo con chi con coerenza ritiene essenziale questa battaglia.

Con Zingaretti leader, immagino.

Mi sembra del tutto evidente.

L’HUFFPOST

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