Fra moralismo e realtà. Gli evasori, le tasse e i tartassati

di MICHELE BRAMBILLA

Ho sempre diffidato di chi, parlando di sé, ama ripetere: «Io sono una persona onesta». Per due motivi: il primo è che non esiste al mondo una persona che non abbia qualche disonestà da farsi perdonare; il secondo è che chi si loda si imbroda, meglio siano gli altri a riconoscere eventuali nostri pregi. Ciò premesso, vengo al punto. In questi giorni in cui si parla molto di evasione fiscale, molti ripetono: «Solo noi lavoratori dipendenti siamo onesti e paghiamo fino all’ultimo centesimo». Essendo un dipendente, anch’io ho sempre pagato tutto: ma non perché sia onesto, bensì perché sono impossibilitato a evadere. 

Vorrei quindi, innanzitutto, sgomberare la discussione dal moralismo. In Italia ci saranno senz’altro persone coscienziose e altre furbastre: ma la prima divisione da fare è quella fra chi, stante il nostro sistema fiscale, è impossibilitato a evadere (i dipendenti) e chi invece lo può fare (professionisti, artigiani, commercianti, imprenditori). Su questa seconda categoria di italiani viene ora calata la mannaia dei controlli, dei contanti, perfino delle manette. E va benissimo. A patto però che tutti costoro non vengano criminalizzati a priori, come invece purtroppo accade.

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