L’Europa non balla da sola

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di   Angelo Panebianco

Non è ancora possibile capire come andrà a finire la tormentatissima vicenda della Brexit: a quel che sembra il premier, Boris Johnson, non otterrà l’uscita definitiva della Gran Bretagna entro il 31 ottobre, forse vinceranno i suoi avversari interni conquistando un rinvio di alcuni mesi. Si può comunque capire, o per lo meno immaginare, che la Brexit potrebbe non avere soltanto rilevanti effetti economici (per la Gran Bretagna come per gli altri Paesi europei). Potrebbe anche preannunciare cambiamenti negli equilibri geopolitici. Potrebbe innescare una rivoluzione, accelerare la scomposizione dei rapporti interatlantici, fare emergere un’inedita frattura fra un blocco rappresentato dalle democrazie anglosassoni e l’Europa continentale.

Il referendum in cui prevalse il partito della Brexit si tenne nel 2016, poco prima delle elezioni presidenziali americane vinte da Donald Trump. Allora c’era ancora la presidenza Obama. Ma lo sfilacciamento delle relazioni interatlantiche era già in corso da tempo. Pur con uno stile diverso da quello del suo successore, anche Obama puntava a ridimensionare l’impegno internazionale degli Stati Uniti. Come dimostrò la sua (infelice) politica in Medio Oriente: fu con lui, e grazie ai suoi errori, che la Russia di Putin potè rientrare da protagonista nella politica mediorientale. Il referendum britannico cadde in quel frangente. Poi arrivò il ciclone Trump: a differenza del predecessore, egli appoggiò la scelta britannica di lasciare l’Unione.

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