Eppur si muove

In fondo ha ragione Zingaretti, che tutto ha scommesso sulla stabilizzazione dell’alleanza tra Pd e Cinque stelle. La manovra, atto politico per eccellenza che fotografa gli equilibri di una coalizione, dice innanzitutto una cosa, politicamente non scontata: una coalizione, sia pur fragile, sia pur piena di contraddizioni, comunque c’è. Eppur si muove, nelle condizioni date. Ognuno, come è sempre accaduto nelle coalizioni, soprattutto in tempi di proporzionale, incassa una sua bandiera e sopporta qualche rinuncia, senza grandi sceneggiate e drammatizzazioni che superino i limiti del consentito: il Pd ottiene il taglio del cuneo fiscale anche se non riesce a rimodulare l’Iva, Renzi e i Cinque stelle incassano lo stop all’aumento dell’Iva, Pd e Conte la lotta all’evasione rinviando le misure spot, care ad Alfonso Bonafede, a provvedimenti successivi. 

Tutto questo è fisiologico, in un certo senso tradizionale, come fisiologica è la tensione fino all’alba nel cdm, la discussione accesa su questo o quello, ma proprio questo recupero di normalità e – perché no, di politica – è la notizia: una manovra che, nel processo di formazione prima ancora che nell’esito, archivia il “metodo populista”, diventato un anno fa gioco d’azzardo sulla pelle del paese, nel grande festival di ministri sui balconi o impegnati a fermare barconi, pagato a colpi di spread. L’anno scorso di questi tempi, in pieno velleitarismo di un conflitto cieco con l’Europa e di sfida ai mercati, lo spread superò i 300 punti base, col povero Tria costretto a ipotizzare una media di 250 per l’anno successivo, oggi chiude a 130 punti, il livello più basso da maggio 2018.

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