Rimpatri, le spine del decreto: mancano accordi e centri d’espulsione

di Fiorenza Sarzanini

Rimpatri, le spine del decreto: mancano accordi e centri d'espulsione

Roma — È la promessa di ogni governo, l’impegno che però nessuno è finora mai riuscito a mantenere. Perché per rimpatriare i migranti irregolari è necessario ottenere il «nulla osta» da parte dei Paesi d’origine, quindi ci devono essere in vigore accordi di riammissione. Ma dei tredici Stati che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha inserito nel decreto come «sicuri» soltanto con due, Tunisia e Algeria, abbiamo un’intesa mentre con il Marocco c’è un protocollo ma non è mai stato ratificato, siamo affidati alla disponibilità del governo a collaborare su ogni singola richiesta. E dunque non si comprende come si farà a rendere più veloci le procedure e soprattutto dove saranno tenuti gli stranieri in attesa di espulsione. Del resto per comprendere quali siano le difficoltà basta ricordare che Matteo Salvini aveva promesso 500 mila rimpatri in campagna elettorale, diventati 90 mila quando è arrivato al ministero dell’Interno, ma nella realtà è riuscito a far tornare in patria appena 5.261 persone.

In tutto il 2018 i rimpatri sono stati 6.820 e 6.514 nel 2017. Cifre basse a fronte di almeno 600 mila persone che vivono nel nostro Paese senza avere i requisiti, anzi nella maggior parte sono destinatari di un provvedimento di espulsione che però non viene eseguito proprio perché non c’è il via libera a riportarli a casa.

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