L’eredità di Draghi a Lagarde: un bazooka pronto all’uso
di Isabella Bufacchi
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L’inflazione che non converge ma si allontana dall’obiettivo vicino al 2% e il rallentamento economico che persiste nel terzo trimestre con la Germania più vicina alla recessione tecnica; le incognite geopolitiche che restano irrisolte ma con la no-deal Brexit in alto mare, con il dialogo a singhiozzo tra Usa-Cina che però ora riprende e con un’Italia meno imprevedibile.
L’avversione al rischio sul mercato si è lievemente attenuata rispetto a questa estate ma permangono le aspettative per il varo di un pacchetto di nuove misure di politica accomodante nell’area dell’euro. E poi ancora: i margini di discontinuità della nuova presidenza sotto il segno di Christine Lagarde; il check-up degli strumenti non convenzionali per la messa a punto della cassetta degli attrezzi; la controversia in corso sugli effetti collaterali. E non da ultimo, i falchi che sono più riottosi del solito, intenzionati a uscire da quell’angolo dove sentono di essere stati tenuti fin troppo a lungo.
Di tutto questo il consiglio direttivo della Bce dovrà tener conto giovedì 12 settembre e pur tuttavia dimostrare ai mercati di saper dare risposte e di saper trovare soluzioni, in una riunione dove tra le tante attese, quella più grande è riposta ancora una volta su Mario Draghi, e sulla sua capacità – finora comprovata – di trovare la maggioranza in Consiglio per affermare e riaffermare la potenza della Bce di fronte a qualsiasi sfida: che sia deflazione o inflazione troppo bassa, rottura dell’euro, crisi dei debiti sovrani, e da ultimo la scarsa fiducia dei mercati nella “tool box” senza il sostegno di adeguate politiche fiscali espansive.
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