Crisi di governo, la prima difficile domenica senza poltrona

Salvini è il primo anche per importanza, per peso politico. Ma non è il solo, fra i vinti. C’è Toninelli, ad esempio: su di lui pesava già da prima l’ironia, lo sfottò social, la penna al veleno di corsivisti in cerca di un bersaglio facile. Attaccare Toninelli non richiedeva cuor di leone quand’era ministro, figuriamoci ora. Non resta, a questa tipologia di vinti, che gridare al complotto e dire – come ha detto lui – “contro di me c’è stata una campagna mediatica pianificata”, e c’è pure chi gli dà fiato, come il senatore Paragone secondo il quale Toninelli “ha pagato l’essersi opposto ai Benetton”. E la Trenta? Come deve stare una Trenta che è stata forse il ministro più in contrasto con Salvini, per la storia dei porti e delle Ong?

Caduto il Truce, lei doveva stare dalla parte dei vincitori. E invece no. “Mi hanno fatta fuori e non lo meritavo, io ho combattuto Salvini più di tutti gli altri”, ha detto. Ma ormai è fuori. “Sei fuori!”, le hanno urlato i suoi stessi compagni di partito, novelli Briatore. Come è fuori, ad esempio, Alessandro Di Battista. Si fosse andati al voto, si sarebbe candidato come leader del Movimento (almeno questo pensava, perché poi non è detto: ormai s’era issata più alta, fra le cinque stelle, quella di Conte). Comunque. Al voto non si va, il suo movimento è andato al governo con quel Pd che lui ha sempre detestato; e Dibba, che di social ha ferito, ora di social perisce: perché girano e rigirano ovunque i filmati in cui il Chatwin de noantri assicurava, con ghigno, che “mai e poi mai” il Movimento avrebbe stretto alleanze con “quelli che hanno sfasciato il Paese”; e, se fosse successo, lui se ne sarebbe andato (e quanto fastidio nei confronti dei giornalisti che gli ponevano la domanda “per la milionesima volta”). Ora l’ironia la fanno contro di lui e Giorgia Meloni gli chiede: “Lasci il Movimento o fai come Maria Elena Boschi?”.

E chissà pure Claudio Borghi, il leghista che voleva portarci fuori dall’Europa e dall’euro: chissà che cosa proverà nel vedere in carica il governo forse più europeista che si ricordi, almeno nei posti chiave. “Si stava preparando una fregatura per gli italiani”, ha detto per spiegare la mossa di Salvini, o forse ancor più per consolarsi, come vittima di un destino ineluttabile, mentre lo spread va giù. L’ora della sconfitta è l’ora del buio. E pure dell’odio maramaldo, come quello vomitato da quel dipendente della tv pubblica che ha pronosticato il suicidio a Salvini e tempi grami alla figlioletta di sei anni (dov’era costui, con il Truce al Viminale? Sempre in Rai?). Ma è pure l’ora in cui si è costretti a riflettere su se stessi, sui propri errori e sulle proprie colpe. La sconfitta è un prezzo che può diventare un lavacro, se i vinti sanno farne tesoro. E poi attenzione. Perché, specie in politica, i vinti di oggi sono (a volte) i vincitori di domani; e i vincitori di oggi sono (sempre) i vinti di domani.

QN.NET

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