Ex Ilva, 14mila operai “ostaggi” della crisi politica e di un microchip nella tuta

di MARCO PATUCCHI

ROMA – Ostaggi della crisi politica. Di quella del mercato siderurgico europeo. Della cassa integrazione. E ora anche di un microchip nella tuta da lavoro. I 14mila operai dell’Ilva stanno trascorrendo un’estate da prigionieri, e con loro i tarantini che abitano il quartiere Tamburi affacciato sull’acciaieria, assediati dall’angoscia per la salute. Se ne è reso conto chi di loro, ieri l’altro, era davanti alla tv è ha visto Luigi Di Maio uscire dallo studio degli Specchi al Quirinale ed esordire così davanti a centinaia di giornalisti: «A causa di questa crisi di governo, il Consiglio dei ministri non riesce ad approvare le leggi che servono a salvare il lavoro a migliaia di italiani: Whirlpool a Napoli con 400 operai rischia di chiudere, la ex Ilva di Taranto con migliaia e migliaia di lavoratori è sospesa in un limbo, la ex Alcoa in Sardegna non può riaprire, i rider non avranno le tutele che hanno gli altri lavoratori». Poi il vicepremier e ministro uscente ha sciorinato i dieci punti programmatici di un eventuale nuovo governo, che hanno finito per monopolizzare l’attenzione.

Così oggi di quelle prime parole si ricordano solo a Taranto e negli altri territori e settori in emergenza sui quali interviene il Decreto imprese varato a Palazzo Chigi il 6 aprile “salvo intese” (oltre 31mila lavoratori coinvolti). Il provvedimento rimasto incagliato, appunto, nella crisi di governo e diventato, a sua volta, un ostaggio dello scontro politico. Mentre Di Maio, che per un anno intero non ha saputo risolvere quelle emergenze, lo usa come arma dell’ultim’ora per attaccare l’ex “socio” Matteo Salvini, fonti governative della Lega impugnano la stessa arma facendo sapere che per l’approvazione definitiva del decreto ci sarà bisogno di un Consiglio dei ministri straordinario (qualcuno si spinge a dire che potrebbe riunirsi la prossima settimana).

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