Matteo ora trama per dividere il M5s

Augusto Minzolini

Mercoledì mattina, corridoio dei fumatori di Montecitorio, luogo prediletto della falange leghista in Parlamento. Per via della Tav e dell’«affaire russo» verdi e gialli in quelle ore sono ai ferri corti, eppure i dirigenti del Carroccio non fanno di tutta l’erba un fascio nel giudizio sugli strani alleati di governo.

Per i leghisti in un ipotetico gioco della torre i vari Fico, Di Battista e Toninelli, finirebbero sicuramente di sotto. Altri, invece, no. «Ad esempio, con i due capigruppo Patuanelli e D’Uva – puntualizza il presidente dei deputati verdi, Riccardo Molinari – ci si ragiona. Il problema sono gli altri». Insomma, con i «dimaiani» di stretta osservanza i rapporti vanno a gonfie vele, meno, molto meno, con l’area «sciroccata» dei movimentisti, siano al governo o no. «Io prenderei Toninelli – è l’ironia di Edoardo Rixi, che ha conosciuto bene il ministro delle Infrastrutture visto che ne era il vice – e lo spedirei in Europa: risolveremmo un problema all’Italia e metteremmo una mina vagante là. Dopo la Tav il governo dovrà decidere sulla Gronda. Credo che la prossima settimana ci sarà il via libera: se ci fosse stata la Gronda, il ponte Morandi avrebbe resistito molto di più. Solo che con quell’anima dei 5 stelle sarà un problema, visto che Genova è la città di Grillo».

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