Tasse e concorrenza. In fuga dall’Italia due milioni di visitatori

Giuseppe Marino

Il tour operator Thomas Cook, colosso inglese del turismo, ha piazzato la sua scommessa sulla Tunisia: nel 2018 ha operato 17 voli a settimana verso il Paese del maghreb.

Per il 2019 prevede di arrivare a 38 collegamenti. Regno Unito, Francia e Germania hanno eliminato l’avviso di Paese a rischio per i propri viaggiatori già nel 2017. In Egitto il governo sbandierava un roseo più 41 per cento degli arrivi, primo vero segnale di ripresa dopo gli anni delle Primavere arabe. E anche gli italiani sono tornati a nuotare nelle acque predilette di Sharm el Sheikh, approfittando delle offerte a prezzi abbordabili.

È una constatazione cinica, ma così come il bilancio pubblico italiano deve molto alle ingegnerie finanziarie della Bce, il bilancio del turismo nazionale ha avuto il suo miglior amico nel jihad e nelle rivolte dei Paesi del Mediterraneo meridionale e orientale. Ora che l’allarme, pur non scomparso, è diventato meno pressante, il vento del turismo cambia dopo aver gonfiato le vele tricolori per anni.

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